C’era una volta un predestinato, nato con le scarpette da calcio già allacciate ai piedi, che vide la luce a Banska Bystrika, un’amena ed accogliente cittadina slovacca, adagiata ai piedi della catena dei Bassi Tatra, bagnata dal fiume Hron.
C’era una volta un bambino, poco avvezzo allo studio, ma geneticamente predisposto alla pratica del gioco del calcio e, per effetto di quell’innata e congenita passione, altro non poteva fare che disfarsi frettolosamente di libri, compiti, penne e quaderni per precipitarsi in strada e dare libero sfogo a quello sconfinato ed incontenibile amore che trovava la sua massima e sublime espressione, allorquando quel giovane, ma già talentuoso diamante grezzo, imprimeva calci ad un pallone. Calci che, un colpo dopo l’altro, hanno saputo forgiarlo e tramutarlo in pietra rara, dal peculiare ed ineguagliabile pregio.
C’era una volta un giovane aspirante calciatore, gracile ed acerbo, disposto a tutto pur di riuscire ad accaparrarsi un posto nel “Tempio degli eroi”, incitato, coccolato, incoraggiato e sostenuto dalla famiglia che ha sempre e fortemente creduto nella sua caparbia possibilità di riuscire a conferire concretezza a quell’ambizioso e possente sogno, intriso dell’acre profumo della minuziosa ed accurata erba che costituisce il rettangolo verde, palcoscenico incontrastato di strenui sacrifici, vittorie sporche di sudore e lacrime, contrasti ed acrobazie, ma anche di cruente sconfitte che sanno imprimere cicatrici profonde all’anima, capaci di deturpare la passione per questo sport, oppure, rafforzarla ed esacerbarla. Quel ragazzo possedeva la scaltra ed ostinata forza, necessaria per strappare quel sogno dal cielo, dov’era incollato, tra nuvole e stelle, per cucirlo qui, sulla terra, affinché crescesse e prendesse forma, ben ancorato al suolo da solide e robuste radici.
C’era una volta un timido e riservato fringuello che abbandonò presto il nido materno per spiccare il volo e trasformarsi in “rondine” una volta giunto a Brescia, dove, grazie al pregio ed alla maestria insiti nelle sue prestazioni, seppe subito attirare su di se la luce dei riflettori.
C’era una volta un “signor nessuno”, sbarcato tra le braccia di Parthenope, il 28 giugno del 2007, tra la sfiducia ed il borbottio dei tifosi che avrebbero gradito accogliere nomi ben più illustri, esperti ed affermati, ma a lui spettava il compito di conferire onore e lustro alla maglia del Napoli, ancora lercia delle ferine e frustranti polveri dei campi della Serie C e lasciare che gli scettici si ricredessero e le contestazioni fossero zittite dai fatti, dalle prestazioni, dalle sue pregevoli prestazioni, quelle suggellate da un’elegante tecnica e da sopraffini movimenti.
Cosi doveva essere e così è stato, perché quel “signor nessuno”, andando incontro ad una crescita esponenziale, ha saputo ergersi a tassello inamovibile di questa squadra, riuscendo a diventare molto di più di un semplice “signor qualcuno”.
C’era una volta un modello senza passerella, eppur seguito, imitato ed emulato, da scugnizzi, tifosi e curiosi: il corpo ricoperto da molteplici tatuaggi che ne raffigurano sentimenti, emozioni e ricordi, gli occhialoni da vista, le capigliature bizzarre, gli abiti stravaganti, è quello che di lui si può rilevare in tanti, tanti altri ragazzi. E non solo. Perché lui ha saputo elevarsi ad esempio da seguire e diventare un fermo punto di riferimento, anche e soprattutto in termini di valori, umiltà, saggezza, serietà, abnegazione, maturità, rispettabilità.
C’era una volta un principe, proclamato Re dal popolo, dal suo popolo, a furor di popolo, perché abile era stato a conquistare un saldo ed intoccabile posto nei loro cuori, così come all’interno del rettangolo verde ed, analogamente, si era rivelato capace di prendere per mano questa squadra, la sua squadra, quella che ha scelto di vivere, rappresentare ed omaggiare con il suo esponenziale ed encomiabile talento, per condurla verso la fonte dalla quale sgorgano i lapilli più gloriosi ed altisonanti che irrigano questo sport e, così, il suo “17” è diventato, ormai, un focolaio inesauribile di gioia ed orgoglio per Napoli, per il Napoli e per i napoletani.
C’era una volta, c’è e ci sarà, per molto, molto altro tempo ancora, Marek: un predestinato, un bambino, un giovane aspirante calciatore, un fringuello tramutatosi in rondine, un “signor nessuno” diventato più di un semplice “signor qualcuno”, un modello, un principe proclamato Re dalla gente di Napoli.
A lui spetta il compito di continuare a scrivere le pagine che raccontano la sua storia e narrano le sue gesta, qui, all’ombra del Vesuvio, dove lui ha scelto di vivere, crescere e diventare “grande”, insieme alla sua gente.
Buon compleanno, Marek!
Luciana Esposito
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