Oggi è il mio compleanno. Oggi è il Tuo compleanno. Due anime intrecciate dal destino beffardo, due esistenze che qualcuno ha arbitrariamente deciso di porre sugli stessi binari. Io ho già sentito la brezza di 29 primavere, tu appena di 87. Anche i numeri confortano il nostro connubio. Tu sei partito prima per divulgare amore: piazze, stadi, strade e autostrade sature d’azzurro. Io sono arrivato tardi, di corsa, com’è nel mio stile. Eppure ti ho riconosciuto tra mille, eri già parte di me.
Amore fraterno. Un’intimità imposta, non scelta, eppure immediatamente condivisa. Una sorta di viscerale empatia, una corrispondenza d’amorosi sensi che ci costringe irrimediabilmente a dipendere uno dall’altro. Ricordo il ritorno in serie A nel 2007. Io su un letto d’ospedale, il Napoli batteva l’Udinese 5-0 con un Lavezzi stratosferico. Non so in che percentuale, ma fu una clamorosa iniezione di adrenalina alla mia convalescenza. A parti invertite, posso citare il periodo nero della squadra da gennaio ad aprile 2009. Un fastidioso torpore, di vittorie nemmeno l’ombra. Ero lontano in quei mesi per motivi di studio e sentivo una vocina stridula che mi acclamava. Tornai per Napoli-Inter, tornai per quel colpo da biliardo di Zalayeta. Tornai. Palo, rete. Tornati. Pazzesco.
Amore incestuoso, perchè carico d’attrazione e sentimento. Pelle d’oca e tachicardia dopo la centesima volta che ho varcato i cancelli del San Paolo. Ansia e trepidazione durante i 90 minuti, anche se di un’amichevole estiva. Farfalle allo stomaco ad ogni tuo successo. Digiuno ed insonnia ad ogni traguardo fallito. Se questo non è amore, allora l’amore non esiste.
Sono nato nel 1984, non un anno qualsiasi. Appena un mese prima il San Paolo accoglieva gremito il calciatore più forte di tutti i tempi. Sono cresciuto negli anni d’oro, iniziato alla fede azzurra da mio padre che mi ha spalancato le porte di Fuorigrotta ad appena quattro anni. Ricordo poco o nulla di quei riccioli argentini, ho qualche sprazzo di un Napoli-Pescara 8-2, ma solo perchè la nebbia e il risultato non potevano passare inosservati. Ma la trasfusione di sangue dal colore del cielo era in atto, difficile fare un passo indietro.
La mia memoria dà segnali di vita a partire da qualche punizione di Gianfranco Zola e da una cinquina di Daniel Fonseca al Valencia. Da lì in poi di momenti da incastonare nella storia ed inviare ai posteri ce ne saranno ben pochi. Ma un amore si arricchisce di piccole cose, gesti insignificanti. E allora via con Di Canio che fa ballare Costacurta, Baresi e Rossi prima di metterla all’incrocio; i calci piazzati di Andrè Cruz, non so se da allora sotto il Vesuvio se ne sono visti di migliori; e poi il famoso coretto “Prima Maradona, poi Gianfranco Zola e poi…Benny Carbone“. Come una tremenda profezia, perchè dopo di lui il vuoto. Un disastro coltivato negli anni. Terra bruciata. Bagnata dalle lacrime. Le mie, le nostre. Quelle di “Batman” in quel di Parma nel ’98.
Ero poco più che adolescente, giocavo a calcetto con gli amici. Loro indossavano Totti, Del Piero, Batistuta, Weah. Io replicavo con la mia divisa “Polenghi”, prima di ricevere il dono più controverso: la casacca di Josè Luis Calderon, uno dei più grandi bidoni dell’annosa questione rifiuti a Napoli. Ho giocato anche con quella (poi l’ho piegata e riposta tra i cimeli), perchè ho imparato che non importa cosa c’è scritto sulle spalle. Conta cos’hai sul petto, in certi casi marchiato a fuoco.
Barcollare, cadere. Tante volte. Rialzarsi, sempre. Questo ci accomuna, ci unisce. Il tuo attuale splendore è nato dalle ceneri. Quelli come me le hanno conservate e le espongono con fierezza in soggiorno. La fede non è un arredo. E’ un mattone condensato di emozioni, belle o brutte che siano.
Auguri vecchietto mio. Benjamin Button de noantri, tu che acquisti vitalità con lo scorrere del tempo. Auguri da chi è meravigliosamente destinato a festeggiare con te ogni primo agosto. Tante candeline, un unico soffio. Insieme. Per sempre. Anime gemelle.
Ivan De Vita
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Articolo modificato 1 Ago 2013 - 17:53