Ieri sera tornavo da una noiosa giornata di lavoro. Era la mia prima volta. La prima volta che vedevo giocare Gonzalo Higuain da quando ha affittato un bilocale nel mio cuore. Folgorato, subito. Forse ancor prima di strutturare un desiderio. In fondo, anche ieri sera, era un mio avversario. Ma quando ha messo a sedere due uomini e trafitto Buffon il sussulto è stato travolgente. Afferro in pugno il mio alibi: era solo calcio d’agosto. La mia mente, d’altronde, non ha potuto evitare un tuffo nel passato. A quell’Italia-Argentina dei mondiali ’90, quando Diego nel suo tempio spediva la nostra Nazionale fuori da un sogno. E in quella gara i napoletani, per provocazione o devozione, tifarono per il proprio Re e non per la propria patria. Il calcio è un tripudio di emozioni a briglie sciolte.
Paragone azzardatissimo e inconsistente con ieri sera, magari solo una mia personalissima accozzaglia di pensieri. Ne estraggo un altro: l’Olimpico è stato l’ultimo teatro capace di annodare e stringere le mie coronarie. Il Pipita ha deciso di colpire lì. In quello stadio, a quel portiere. Non per caso. Io l’Imperatore avvolto d’azzurro, lui il valoroso gladiatore. Ho sentito i suoi occhi penetrare i miei e sollecitare un cenno. Pollice verso.
La gara nella Capitale in onore di Francesco I ha offerto anche altri spunti meteoritici. Il talento di Lorenzo Insigne, rientrato nel cerchio dorato di Prandelli, si è consumato in un lampo. In un momento soporifero della ripresa, la sua gemma ha ridato sprint e cattiveria ad una squadra in balia degli ospiti. La sua prima volta, il primo sigillo con la maglia della Nazionale. Il Papa aveva esortato i professionisti di Italia e Argentina a riconquistare la dimensione “cameratista e dilettantistica” del calcio. In un’estate sciupona e dissipatrice di denaro, la risposta gli giunge dalla cantera azzurra, dal contrasto verace di sangue e pallone che caratterizza un ragazzo di provincia balzato agli onori della gloria. Insigne e Higuain a caccia di copertine, quasi sfidandosi a duello. La nostra fantasia vibra, non potrebbe essere altrimenti.
Altri piccoli “esordi”, meno assordanti ma comunque significativi. Campagnaro alla sua prima svestito dai panni di “Hugo boss”. Poi lui, il Pocho. Le sue sgroppate con Chiellini a leggergli la targa e la sua inconsistenza sotto porta richiamano pienamente i tempi che furono. Oggi è un avversario, mai uno dei tanti. In quel tempio in cui lanciò il suo ultimo urlo ricco di decibel azzurri. E non solo. Ieri sera l’ennesima dichiarazione d’amore verso Napoli, come se qualcuno lo avesse allontanato a pedate. Perchè? Forse è solo l’incoerenza di chi un amore così soffocante sa di non trovarlo altrove. Tutto chiaro, Edi?
Come non chiudere accennando alla meteora Fernandez. Mai visto sotto il Vesuvio imbroccare un anticipo, mai visto con una tale sicurezza. La maglia albiceleste lo trasforma, dice di non sentire pressioni. A Napoli in molti sono pronti a rinnovargli la fiducia, ma senza carisma e sfacciataggine non farà mai il salto di qualità.
Mille luci e poche ombre. Ferragosto di sensazioni concatenate, cucite insieme dalla fede partenopea. La prima volta non si scorda mai. Esprimete il vostro desiderio.
Ivan De Vita
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Articolo modificato 16 Ago 2013 - 03:18