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Donadel vs Zuniga, quando gli errori arrivano dall’alto

E’ proprio vero che per costruire una solida struttura ci vogliono delle fondamenta adeguate, stabili e prive di crepe, altrimenti l’intera costruzione rischia ben presto di ritrovarsi con preoccupanti dislivelli che mettono in pericolo la solidità e il futuro ampliamento del progetto.

E’ un concetto che si può tranquillamente applicare a quanto la società azzurra sta conducendo in questi mesi in cui la nave Napoli sta entrando nei porti del grande calcio senza timore reverenziale, con alle spalle una coperta economica importante, frutto di perseveranza e lungimiranza del presidente e di una dirigenza sana e con pochi fronzoli, che investe nell’equilibrio e nel fair play finanziare una buona fetta delle sue credenziali.

Ma l’eccezione, in questo caso, è d’obbligo, ed è il punto fondamentale della rubrica “Io non ci sto” di questa settimana. Già, io non ci sto su come è stato gestito l’affare Marco Donadel e come si sta gestendo la questione Camilo Zuniga, in entrambi i casi due ferite aperte, definizione che viaggia sulla scia di dubbie scelte di ingaggio e valutazioni pressoché sbagliate, che non rispecchiano di certo il valore di entrambi i giocatori, ovviamente in un caso per eccesso, nell’altro per difetto, ma per ognuno vige una condizione spropositata se si guardano cifre e presenze che nel tempo hanno evidenziato un imbarazzante dislivello.

Per Donadel, come già analizzato in tempi non sospetti, l’ingaggio di 1.200.00 euro annui fa rabbrividire, soprattutto se si pensa che il giocatore è rimasto per molto tempo ai margini della squadra, vuoi per infortuni, vuoi per incomprensioni su di una tabella di marcia relativo al recupero che lo ha portato ha uscire fuori giri e ad incappare nuovamente in ricadute che hanno spazientito il pubblico e lo stesso staff azzurro, dove l’intero entourage tecnico, con una comprovata stabilità psicofisica che ha portato il Napoli ad essere la squadra con meno infortuni di tutti, ha spesso messo in dubbio le scelte del biondo centrocampista ex viola  che ha scelto in alcuni casi di mettersi nelle mani di terzi per tentare una riabilitazione che non è mai avvenuta. Il risultato è stato determinato dalle presenze in campo, appena quattro, ed in tutte le volte in cui ha messo piede in campo, mai si è avuta l’impressione di avere a che fare con il giocatore ammirato a Firenze sotto la guida tecnica di Prandelli. In questo caso, ovviamente, ci si chiede come mai si sia investito così tanto per l’ingaggio di un calciatore che veniva già da problematiche fisiche che lo avevano messo in difficoltà con i viola, ma sopratutto perché non si sia tentato di intervenire in corsa, trovando la via del buon senso, come spesso capita in questi casi, quando il calciatore, memore di lunghi infortuni e stagioni lontano dai campi per la stragrande maggioranza del campionato, decide, in combutta con la società, di decurtarsi l’ingaggio, o addirittura, di rinunciarci del tutto, per rispetto del proprio ruolo e di quello dei compagni che, puntualmente, sono scesi in campo a dare il proprio contributo per la causa.

Discorso diametralmente opposto per Zuniga, che guadagna 800.000 euro l’anno 400.000 euro in meno di Donadel, in piena lotta per il rinnovo, pena il passaggio ai rivali della Juventus, che non vedono l’ora di usufruire delle prestazioni di un calciatore che l’anno scorso ha compiuto il definitivo processo di maturazione che lo ha reso uno degli esterni più completi a livello europeo (non esageriamo a definirlo tale, se si pensa che qualche mese fa il Barcellona fece un sondaggio per averlo). In questi giorni è in discussione una proposta di rinnovo per il colombiano, a cui Bigon ha offerto 1.200.000 euro, contro i 2 milioni di euro che Marotta sembrerebbe pronto a versare al colored azzurro. Ora, in virtù delle prestazioni di Camilo, forti delle doti del calciatore messe in luce negli ultimi tempi, non sarebbe il caso di correggere il tiro e rimediare ad un palese errore di valutazione e pareggiare almeno la controfferta bianconera? Non è forse giusto recitare il mea culpa ed abdicare alla richiesta, sempre in considerazione di un progetto “work in progress” che prevede ora ed in futuro la crescita esponenziale di una squadra votata a vincere nel panorama europeo?

Il paragone tra i due estremi è stato d’obbligo, e non per questo vogliamo puntare il dito e definire sconsiderato il team di lavoro che De Laurentiis ha imbastito in questi anni, anche perché sarebbe stupido ed ingrato, visti i risultati e gli obiettivi che questo Napoli ha deciso di raggiungere senza mezzi termini e i progetti tecnici messi in atto con protagonisti d’alto livello e di spessore più che degno per pensare in positivo. Ma sappiamo anche che i cavilli contrattuali e la gestione degli ingaggi sono alla base di una società che vuole mantenere un equilibrio in funzione dei reali valori di ognuno dei componenti della rosa, per livellare con il giusto buon senso una squadra proiettata a vincere nel più breve tempo possibile, per cui, anche da questi aspetti, è importante apportare le dovute modifiche e crescere attraverso le esperienze e, perché no, attraverso errori che si sono commessi in passato, a cui bisogna però rimediare, segno tangibile di una comprovata maturazione.  

Articolo modificato 17 Ago 2013 - 17:11

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Scritto da
redazione