Luciano De Crescenzo compie 85 anni. Uno che ne ha viste abbastanza, della Napoli di una volta, di quella di oggi, dell’Europa che non c’era, dell’Italia che non era come è adesso e, soprattutto, di una lunga serie di generazioni testate dai residui di romanticismo, dal progresso e dalla debole sopravvivenza della tradizione, dall’era atomica e dalla tecnologia, da un genere di sacrificio e da un nuovo tipo di rigore, da una cosa e dall’altra.
Insomma da una vita, piena abbastanza per definirsi “allargata”, come dallo stesso De Crescenzo ha spiegato in uno dei suoi film più celebri, “32 dicembre”, dove lo scrittore napoletano, ispirato dalla filosofia classica, interpreta il senso del tempo come si dovrebbe, incantando la sua provvisoria e sparuta platea, i cari Sergio Solli e Benedetto Casillo, con l’apologia satolla e discreta del tempo vissuto in ampiezza.
E De Crescenzo è uno che il tempo l’ha di certo saputo vivere in tutta la sua ampiezza possibile. Nato nel cuore di Napoli, nei pressi di Santa Lucia, allievo di Caccioppoli, allevato da mille pensieri. Ingegnere, scrittore, regista, filosofo, attore, sceneggiatore.
La sua creatività ha tradotto in “volgare” la filosofia, talvolta approssimandola con efficacia “popolare” alle faccende spicciole della Napoli in ambascia. L’espressione sempre spontaneamente incantata, l’animo suggestionato, lo spirito libero davanti alle costrizioni delle sovrastrutture, dentro una serenità di comunicazione figlia di quel tempo saggio e provato dei grandi assaggi di miseria. La passione per la Grecia antica, l’intuizione assoluta per la salvaguardia delle proprie origini, il racconto, la premura, l’attesa e il giudizio composto. Le fasi che all’unisono si dispongono nel caos ordinato di chi si smarca dalla mediocrità.
L’ironia sfacciata e incontestabile della sua televisione, il posto caldo riservato a una platea, stavolta più vasta, allevata da quella intelligenza che sapeva come farsi voler bene, senza spocchia, e con la leggerezza di personaggi spuntati all’improvviso, col trucco sbiadito del teatro ancora sul volto e la conoscenza della gavetta, del sacrificio dell’arte, senza troppi artifici e col piacere di predicare una formula innocente di compagnia.
Permetteteci di dire, un napoletano classico. Un’intelligenza vispa, uno scugnizzo del pensiero in abiti eleganti. Il cappello di panama e la maschera di Pulcinella in tasca, mai estratta, come si conviene a chi a Napoli non ci è soltanto nato, ma l’ha pure intuita. Un viaggiatore del pensiero con l’approdo facile, ma col porto principe. Quello della sua città, e senza viste da facili e ottusi campanili.
Dall’irriverenza del “Pap’occhio” ai film sulla Napoli di Bellavista, a tutti i suoi libri, le sue interviste, le sue trasmissioni in tv, dentro una carriera che De Crescenzo ha sempre “spacciato” per forma di passione, perché “io sono un ingegnere”.
Ricordo di una volta, a un incontro presso cui mi recai, da giovanissimo, per curiosità, dopo aver letto alcuni suoi libri, dopo aver visto i suoi film, dopo averlo appreso, con altrettanta leggerezza, come una specie di guida alla Napoli che vorremmo, ascoltai la sua risposta a una provocazione.
Gli chiesero se lui si fosse mai sentito un filosofo, soprattutto considerando che alcuni accademici lo avevano criticato a causa della sua abitudine di rendere troppo spicciola la materia. Lui rispose molto semplicemente, “Io mi interesso e scrivo di filosofia da appassionato, e poi sta a voi dire come lo faccio. Ma di professione faccio l’ingegnere. Al contrario, ai filosofi che mi criticano dico una cosa. Voi siete filosofi di professione, ma sarei curioso di vedere come fareste gli ingegneri per passione”. Poi si fece una mezza risata, e pure in sala qualcuno ghignò con non poca soddisfazione.
Oggi Luciano De Crescenzo compie gli anni. Ne compie 85. Per uno come lui sono pochi, o forse non sono e basta, visto che è riuscito sempre a cavare più tempo da quello avuto a disposizione.
La redazione di Spazio Napoli augura a Luciano De Crescenzo un buon compleanno.
Sebastiano Di Paolo