C’è chi ha fatto i salti mortali, chi ha contratto debiti, chi fatto collette, chi sperava di vincerlo tirando un numero a sorte e chi ha conservato i soldini con molto anticipo. Il risultato finale è quello che conta e allora anche quest’anno eravamo tutti, o quasi, lì, abbonati e ai nostri soliti posti di battaglia. E poi c’è chi ha sbagliato a prenotare le vacanze e ha dovuto vedere la partita a New York, chi le prenota sempre male e anche quest’anno ha dovuto cercare un bar in Grecia, salvo poi inviare un messaggio di S.O.S. perché era saltata la linea. E, infine, chi ha cominciato così come aveva finito. Febbre alta, a casa ed esultanza in solitudine, festeggiamento con tachipirina e facendo attenzione a non far cadere il termometro. Ma la verità è che, in qualsiasi posto del mondo siamo e in qualsiasi condizione psicofisica, mente e cuore sono sempre tutti allo stadio. E quest’anno le aspettative sono alte, ma alte assai.
Il giorno prima c’è stato il battesimo del campionato, con il solito scivolone del Milan alla prima contro un Verona che sapevamo essere la sua bestia nera, e con la solita Juve che vince, convince e costringe le altre a fare gli straordinari. E allora, il giorno del nostro esordio al san Paolo speravamo in questo: non una partita normale, una di contenimento, una di sofferenza e vittoria, una da ennesimo goal subito con sufficienza, o da goal nostri fatti per sbaglio. Speravamo in una prova di forza, nonostante l’avversario non irresistibile. Una partita senza spettro del recupero all’ultimo minuto, del Konè che s’inventa l’eurogoal, che abbiamo capito che quando lo spazio non glielo dai, neanche Moscardelli può inventarsi niente. Insomma, volevamo una partita da esaltazione per la prima di campionato e siamo stati accontentati.
Già nel primo pomeriggio, si guardava l’orologio impazienti, spuntate le 16:30 abbiamo indossato la nostra maglia del gruppo e siamo partiti. Una volta che devi andare, o tre o quattro ore prima non cambia poi molto. Almeno lì hai una famiglia con la tua stessa ansia con cui ingannare l’attesa. E allora poco dopo le 17 eravamo fuori al tempio, rigorosamente chiuso. Forse abbiamo esagerato, ma non siamo soli e questo asseconda la nostra malattia e ci rincuora. Alla spicciolata arrivano tutti, aprono i cancelli e finalmente guadagniamo il nostro posto, il solito, solita visuale, soliti vicini, solita sensazione di stare a casa. Adesso possiamo cominciare sul serio! Il pre-partita vola tra una chiacchiera sulle vacanze non fatte, sulla felicità di qualche futuro neo-papà, sugli acquisti non arrivati e su quelli che dovrebbero arrivare, sul panino con le polpette fatto da una mamma e sulle pizze rustiche fatte da un’altra, sull’organizzazione della trasferta di sabato a Verona. Si va con una piccola, ma degna delegazione. A proposito di futuri papà e figli probabili, c’è anche chi si porta avanti col lavoro e propone alla coppia più adulta, che nonni non lo sono ma che, probabilmente, vorrebbero esserlo, che qualora ci dovessero essere bimbetti nel gruppo, offriamo loro l’abbonamento in tribuna family e così risolviamo il problema dei baby sitter e dei sensi di colpa da “genitori che lasciano i figli a casa per una partita di calcio”. Loro accettano, noi siamo tutti più felici e il futuro del Paese è garantito. Insomma, discorsi da pre-partita, tra il serio e il faceto.
Non possiamo non notare che il campo è in perfette condizioni e allora al Presidente è sembrato giusto sparare altri quattro fuochi diretti verso il centrocampo e far dimenare un po’ di ragazze pon pon, guardandosi bene dal far uscire quella bandiera terribile della volta scorsa. Lo stadio fischia comunque e una parte della curva si gira di spalle. Lo spettacolo vero, in effetti, è arrivato di lì a poco. Perché, signori miei, quella che abbiamo visto dopo è stata una gran partita. Anche per il risultato, certo, ma soprattutto per la sicurezza che questi ragazzi hanno dimostrato. Ricapitolando: abbiamo visto segnare sempre il numero sette, e allora speriamo che non era lui, ma la maglia; per toglierci dall’imbarazzo di non saper pronunciare bene Callejon, abbiamo gridato tre volte su quattro Hi-gua-in!, povero Ca-lle-jon!; abbiamo visto un Hamsik interdetto all’inizio e stratosferico dopo, onora la fascia di capitano con una doppietta e con delle perle da orgasmo collettivo; abbiamo sgranato gli occhi per ogni intervento caparbio di Behrami, che quello lì non è normale e semmai un giorno lo vedrò dovrò chiederglielo che colazione faceva da bambino; ci siamo innamorati di Pepe Reina che ha esultato come un pazzo verso i distinti sul secondo goal e ci siamo innamorati ancora di più quando lo abbiamo visto uscire dall’area piccola più volte anticipando l’avversario; non abbiamo tremato sul 2-0, temendo spettri del passato e non abbiamo fatto segnare nessuno per la prima volta in serie A; abbiamo visto tre goal, un palo e due goal annullati e abbiamo visto persino una punizione potente, senza nessun Gargano arrancare prepotenti sulla palla. Abbiamo visto una partita di calcio e ci siamo arrecreati.
Insomma, si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera. A noi piace di più dire: ricomincio da tre!
Articolo modificato 26 Ago 2013 - 11:38