Impressionante e anche un po‘ sorprendente. Pure se poi Benitez se l’aspettava proprio così. Ne aveva colto i segnali, percepito i miglioramenti. Era certo di poter vedere già il suo Napoli, subito. Aveva capito tutto. Buona la prima. Buonissima. Al di là del risultato. Che poi nel calcio è banalmente tutto. Però bene, bene Benitez. L’atteggiamento, il modulo, la sensazione di forza che ha lasciato sul campo e in chi l’ha visto.
Un altro Napoli. Diverso, nuovo, eppure anche, e ancora, un po‘ vecchio: uguale a se stesso, a quel che era, con tutte le virtù di Mazzarri in dote e il meglio portato da Rafa. Che crescita. Mentale innanzitutto. Per quella convinzione quasi ostentata. L’autorevolezza evidente. Quel sapere d’essere più forte e mostrarlo “sin prisa y sin pausa”, senza fretta e senza pausa per novanta minuti, dall’inizio alla fine. Alla spagnola. Quartieri spagnoli.
La testa prim’ancora che le gambe. Si vince con l’anima. Ch’era già tosta. Poi tutto il resto. L’empatia col San Paolo, l’entusiasmo dell’attesa e quel cordone ombelicale che in certe notti a Fuorigrotta fa il giro del campo e annoda tutti. Cinquantamila che fanno la partita contro undici. Imbattibili. La forza del progetto, l’euforia dell’ambiente e poi il campo, là dove le perplessità tipiche (e fisiologiche) dell’esordio sono diventate certezze. Un’ora e mezza per scoprire il Napoli e rivestirlo subito coi panni dell’anti Juve, con gli abiti festosi di chi al ballo delle debuttanti del campionato s’è presentato scintillante. Sartoria Benitez. Taglia (toglie) i difetti, cuce i pregi. Il 4-2-3-1 un vestito che calza già a pennello: misure giuste, portamento di classe e colore che non sbagli: l’azzurro.
Già una squadra, il Napoli. Subito una squadra. Brillante atleticamente, continua per 90′, pronta nonostante le tante riflessioni sui metodi di preparazione. Identità, fisionomia, idee chiare di quel che chiede e vuole Benitez. Tutto fatto, visto ed evidente. Squadra corta e sempre compatta. Mai passaggi lunghi, si gioca da dietro. Pepe Reina il regista portiere. Sennò palla a Raul Albiol che la smista e fa girare, l’appoggia, cerca spazi e tempi d’inserimento. Il “tiqui taca” napoletano ha le sue variazioni: passaggi corti e in tutte le direzioni. Poi improvvise aperture sugli esterni. E se c’è un buco, si può anche provare la percussione. Il gol è l’esaltazione di movimenti, situazioni e qualità di squadra e individuali. Tre rifinitori dietro Higuain: 9 vero ma pure finto (nueve). Sta in area, si aggira cattivo, fa la sponda, la spizza, sgomita e tira. Però poi s’abbassa e va a giocarla. Per far spazio, per portar via i difensori, per Hamsik che si butta dentro e gli esterni che tagliano.
I tre dietro sono ora quattro. Pure se uno si sgancia e l’altro stringe: a suo agio Zuniga, in crescita Maggio. Difesa attenta, insomma, mediana di sostanza e attacco che dev’essere imprevedibile. Con gli esterni un po‘ punte larghe e un po‘ tornanti vecchia maniera. Che corrono. E quando serve, rincorrono. Avere palla dà un senso di forza, andarla a recuperare con impeto anche di più. Avvilisce l’avversario, sfianca, mette ansia, fa sbagliare. Il pressing alto, a tratti feroce, la novità forse più evidente. Callejòn una zanzara: attacca e punge. Fa male. Hamsik sempre nei paraggi del pallone, Pandev si è sacrificato, Insigne e Mertens mentalizzati, Inler continuo, Behrami è ovunque: no limits. Movimenti, meccanismi, equilibri diversi, eppure da aggiustare. Migliorare. Soprattutto verificare.
Verona fatal già troppe volte. Anche per Benitez. Che con l’Inter fu sconfitto. Storie (nere)azzurre di seratacce spesso annunciate (turn over spunto), qualche volta imprevedibili. La memoria un colpo al cuore. Lo show di Sardo, le mirabilie di Moscardelli, il bolide di Dramè e più di un erroraccio. Sbagliare certe partite si può, ripetersi sarebbe impressionante e anche un po‘ sorprendente. E‘ stato troppo bello il primo Napoli di Benitez.
FONTE: Corriere dello Sport
Articolo modificato 29 Ago 2013 - 12:28