Stile, temperamento e professionalità chiudono il cerchio di un uomo perfetto per rappresentare al meglio il momento storico-calcistico della società azzurra, ma anche il miglior comunicatore che, attualmente, possa fronteggiare una piazza già storicamente controversa quanto ambiziosa, ma negli ultimi tempi, con le nuove generazioni, spinti da quella sete di vittorie utili a sollazzare e sorreggere un’autostima necessaria per sentirsi di nuovo protagonisti. non soltanto sotto l’aspetto calcistico. Con la scusa del pallone, ed il potere che scaturisce attraverso le vittorie, Benitez & co. hanno sulla coscienza la credibilità di una città che ha bisogno di cantare e di ballare per strada sventolando una bandiera, vedendo i propri beniamini alzare una coppa, essere l’espressione della Napoli che vince, che si solleva dai problemi che l’affliggono, che dimentica guai e drammi, per pulirsi l’anima con la gloria calcistica, sul punto più alto, come accaduto decenni fa.
Ma questo significa costruire dalla base il principio di un sogno, intervenire sulla mentalità per appoggiare in pieno la politica di un uomo emblema del lavoro, essendo un grande professionista, che attraverso la sua opera può dare ciò che tutti si aspetterebbero, a patto che dapprima loro stessi cambino in alcuni atteggiamenti. Uno su tutti è quella maledetta ed isterica capacità di passare da un estremo all’altro, una sorta di “Dottor Jekil e Mr.Hyde” del tifo, di essere esaltati quando si tratta di analizzare un ciclo di vittorie, e depressi quando è il momento di raccogliere i cocci di una sconfitta. Non esistono mezzi termini, non esiste una maniera più obiettiva per convivere con entrambi gli avvenimenti con la massima trasparenza e fredda analisi per evitare che gli sbalzi d’umore prendano il sopravvento sulla realtà, cadendo in patetici estremismi.
Allo stesso tempo ci troviamo spesso vittime di una figura quasi mitologica appartenente al tifo partenopeo già da tempi non sospetti, e cioè il famigerato “pessimista permanente” colui il quale vede eternamente male la campagna acquisti, una vittoria striminzita, una sconfitta immeritata, un giocatore acquistato piuttosto che un altro, la scelta tattica del mister, che paragonata a quella del suo predecessore diviene automaticamente una bestemmia. Tanti allenatori in una città che non sa scegliere, in una metropoli che mastica calcio ma che sputa sentenze troppo spesso impregnate da una non ben definita inefficacia nel saper valutare in modo approfondito ciò di cui si polemizza, riuscendo soltanto a gettare sconforto e quell’antipatica sensazione di sfiducia.
Due principi di fondamentale importanza su cui la rubrica “Io non ci sto” di questa settimana focalizza la propria attenzione, per poter dire di essere “da Benitez“, cioè una piazza che ha saputo assorbire congetture arcaiche, tramutandole in una competenza approfondita delle problematiche della squadra, assieme con un cauto ottimismo ed uno spirito collaborativo al fine di poter appoggiare la società per arrivare sempre più in alto, pur mantenendo la capacità di continuare a criticare in maniera costruttiva, sempre e solo per il bene del Napoli e dei napoletani. Superati questi ostacoli, un giorno potremo dire di aver meritato il tecnico che attualmente ha scelto di allenare i colori per cui si fa il tifo.
Articolo modificato 6 Set 2013 - 19:32