Ernesto Paolillo, ex amministratore delegato dell’Inter e ora consulente della Eca, l’associazione dei club europei, è severo. “Né la Eca né la Uefa vogliono rendersi ridicole ed è chiaro che questi tipi di accordi vengono sottoposti a un controllo preciso che serve a comprendere se si tratta di cose strane oppure no”. Lo sfogo di De Laurentiis, però, Paolillo lo condivide: “Ha ragione, anche se in Italia sono ormai tutti club virtuosi. Un conto è spendere 100 milioni di euro se sei il Real Madrid che solo di marketing ha un fatturato che è di 500 milioni di euro. Un conto è spendere questa cifra quando non hai altre entrate che sponsorizzazioni. Noi siamo pronti ad intervenire anche rendendo nulli certi tipi di contratti milionari”.
Questo genere di accordi con multinazionali extra Ue rischiano di spiazzare le autorità di Nyon, perché il regolamento non vieta i finanziamenti provenienti da Stati non europei. De Laurentiis e il Napoli lo sanno bene. Sanno che non è facile intervenire con i controlli e limitare questa forma di business. Ed è per questo che il patron ha riproposto la vecchia questione del trattamento di favore nei confronti di Al Thani, Abramovich e Mansour e tutti gli altri. “C’è un modo per spiazzare tutti: limitando la rosa dei giocatori nelle squadre. Non sono favorevole al tetto d’ingaggio: non farebbe altro che favorire i compensi sottobanco” è la ricetta del professor Victor Uckmar, tributarista di fama ed ex presidente della Covisoc. Che aggiunge: “Sceicchi e russi continueremo a vederli da lontano: non vengono perché siamo al 90esimo posto tra i Paesi dove viene consigliato di investire e al 124esimo per rischi fiscali. Nel Regno Unito e in Francia fanno molto meglio i loro affari”.
Già. E in questa maniera è più facile accedere a tornei che creano fatturato, dice De Laurentiis. Come la Champions che garantisce tra i 25 e i 40 milioni di euro annui. Michele Uva, attuale direttore generale di Coni Servizi, ha scritto la prelazione al libro “L’applicazione del financial fair play alle società di calcio professionistiche”. Spiega: “Nessuno può sfuggire all’applicazioni di queste norme. Ma è chiaro che il calcio italiano deve imparare anche a trovare nuove forme per innalzare i ricavi e non solo ridurre i costi. Oggi tutti seguono la strada dell’autofinanziamento, non ci sono più presidenti che ricapitalizzano perdite per 80-90 milioni. La strada che da tempo percorre De Laurentiis. Che ha ragione da tempo anche su un altro punto: sono poco valorizzati i diritti internazionali del brand serie A, è inaccettabile che la Premier incassi quattro volte di più dei club italiani”.
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 10 Set 2013 - 09:27