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Lo ammetto. Giorni prima di Napoli-Atalanta sono stata sopraffatta dall’ansia.

Sì, non si giocava da due settimane e ciò mi provoca spesso una tachicardia d’astinenza, ma non era quello. Poteva essere confusa con questo, ma non lo era. Era più una malattia che veniva dall’inconscio. Un trauma passato non ancora rielaborato che tornava a galla violentemente. E a farlo riaffiorare sono state sicuramente due cose: l’avversario da affrontare e i parecchi impegni ravvicinati, comprese le Nazionali, che hanno fatto parlare per due settimane di quella terribile cosa. Il turn over. Questa parola per me significa avere un centrocampo fatto da Donadel e El Kaddouri, una difesa con Rosati a porta, Fideleff e Fernandez, un attacco con Calaiò e Vargas. E non un reparto alla volta, ma tutti e tre insieme in campo durante gli stessi 90  minuti! E per me Atalanta significava: “è una partita difficile, da non sottovalutare, si chiudono bene, bisogna trovare gli spazi, sono in forma, hanno Denis che lo conosciamo bene, e tutti quei due o tre che ci segnano all’esordio il goal della vita!”. Insomma, fino ad un giorno prima ho dovuto convivere con la mazzarrite acuta. Quella che ti fa vivere nel terrore del Bologna, del Chievo e dell’Atalanta.  E nonostante avessimo già battuto le prime due, restavo ancora non convinta e in balìa dei sintomi.

Poi gli amici di curva mi hanno riportato con i piedi per terra, poi ho sentito Benitez parlare di un Napoli che deve vincere, poi è arrivato il giorno della partita e ho pensato solo ad andare allo stadio e sostenere. E ho fatto bene.

Così, alle quattro già scalpitiamo. Troppo presto in effetti. Le quattro sono un buon orario per i mercoledì di Champions, non per una partita contro l’Atalanta. E questa riflessione già fa capire che cominciavo a guarire. E allora alle cinque si va. Le cinque mi sono sembrate un buon compromesso. Una parte del gruppo è già lì, quella parte che si è persa la prima di campionato perché ancora in vacanza e allora scalpitavano più di noi. Baci e abbracci come se fossero tornati dalla guerra. E non sapevamo ancora che la guerra l’avrebbero fatta in campo, oltraggiando la nostra maglia azzurra in casa con una mimetica che ha indignato tutti. “Vilipendio alla maglia” potrebbe essere una nuova proposta di legge. Ma non lo diciamo forte che quelli lì, visto i loro serissimi impegni, mi prendono sul serio pure a me. In tutti i casi, il pre-partita, nonostante duri “solo” tre ore, passa in fretta tra chiacchiere sul Borussia, chiacchiere su chi va a Milano, chiacchiere su chi va a Londra, chiacchiere su chi vuole che vinca l’Inter e su chi preferisce un pareggio, chiacchiere su “forse è stato meglio il pareggio, perché chi lo sopportava a Mazzarri e i suoi – mi fa piacere che lo avete detto voi- ”. Chiacchiere. Ma poi siamo passati ai fatti ed è stata tutta un’altra storia. Ragazze pon pon e fuochi d’artificio a parte.

Il Napoli entra sbagliando maglia. L’Atalanta entra sbagliando maglia. L’arbitro entra sbagliando maglia. Ne esce fuori un bucato sbagliato al centro del campo. Gli avversari indossano evidentemente la maglia del Borussia per farci allenare l’occhio per mercoledì, che carini! Noi indossiamo maglie mimetiche per confonderci con la folta foresta che ci sta intorno e non farci sparare dai nemici. L’arbitro indossa una maglia che si confonde con le nostre perché magari riesce pure lui a non farsi sparare dai nemici. E ci è riuscito così bene che non solo non è stato colpito dal fuoco nemico, ma per buona parte della partita, Marek compreso appena entrato, abbiamo passato la palla all’arbitro convinti che fosse uno dei nostri. Ad un certo punto ho visto Benitez che richiamava la sua attenzione per dirgli di stare più dentro al gioco e fare più possesso palla.

Il primo tempo è deludente. E capirete quanto la mia mazzarrite stava per tornare piano piano, ma l’Atalanta non è mai stata pericolosissima e ho visto un Higuain marcato da due bestioni che è riuscito comunque a toccare di testa e a fare qualche giocata. Però ho visto anche Pandev non riuscire a fare le cose che gli riescono meglio, Insigne dormire sulla fascia destra, Mertens e Armero giocare ai due compari sulla fascia sinistra, poi Insigne dormire sulla fascia sinistra. E uno Smaili che ci ha fatto rimpiangere Behrami. Ma questo lo potevamo immaginare. E allora, nell’intervallo, ho cercato di autoconvincermi che si poteva migliorare, partendo da una difesa solida con un Albiol che dà sicurezze persino al capitano, e da un Mesto che non sarà lesto, ma sa quello che deve fare.

E, in effetti, la fiducia è stata ripagata. Insigne ha continuato a dormire sonni tranquilli, ma tutto il resto è andato meglio e all’ingresso di Callejon e dell’immenso Marek, abbiamo messo ko l’Atalanta, come avremo dovuto fare 45 minuti prima. L’importante è averlo fatto. E non per i due punti che ci distanziano da Juve, Milan e Inter. No no, per carità! Come dicono tutti, noi non guardiamo le altre squadre. No no, per carità! Vincere mi è piaciuto perché così abbiamo  rivisto Reina fare il pazzo ed esultare con noi tifosi; perché abbiamo dovuto ridire quattro volte Callejon, che magari ne impariamo la pronuncia. Pare, infatti, che Callejon abbia dichiarato che il suo obiettivo siano 15 goal, ma non per i 15 goal in sé, bensì per dare lezioni gratuite ai napoletani di pronuncia della “jota” e della doppia elle. Vincere mi è piaciuto perché ci siamo abbracciati forte forte, perso la voce e festeggiato dopo con una bella birretta fresca. Vincere mi è piaciuto perché finalmente abbiamo visto una squadra che sul 2-0 attaccava ancora e non subiva, con un possesso palla da fare invidia ai bimbi cattivi del tipo “ la palla è mia e guai a chi la tocca!”

Ma soprattutto vincere mi è piaciuto perché ho finalmente sconfitto la mia mazzarrite acuta. E adesso voglio il Borussia! E la mia maglia azzura!

Articolo modificato 15 Set 2013 - 13:19

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Scritto da
redazione