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Il turnover: pratica con la quale, nell’ambito delle “edizioni precedenti”, la mentalità azzurra non aveva sviluppare un suffragato feeling, in quanto, orbatosi dei suoi “titolarissimi”, si mostrava e dimostrava di essere palesemente incapace di riscontrare consensi e maturare vittorie.

Ci eravamo, pertanto, quasi convinti che il turnover fosse un atteggiamento tattico improduttivo e che il Napoli fosse “condannato” ad inscenare performance ancorate sullo stato psico-fisico dei sostanzialmente “soliti 11”, accompagnati, nelle loro gesta, dalla fortunosa e consapevole speranza di non vederli mai imbattersi in infortuni importanti.

Poi è arrivato il “Professor Benitez”: maestro di parsimonia, tattica e, dopo ieri, anche di turnover.

L’allenatore del Napoli, rispetto al suo predecessore, infatti, ha palesato due importanti e positivi approcci: con la partita e con la repentina lettura delle evoluzioni di gioco.

Il Napoli, orfano in buona parte delle “pedine cardine” ha interpretato un buon primo tempo, puntando in più frangenti la porta bergamasca e difendendo egregiamente la propria 3/4.

L’atteggiamento tattico degli azzurri ha convinto, anche prima di passare in vantaggio, perché si sono rivelati capaci di fare quanto gli viene richiesto dal nuovo modulo: mai snervati dall’impenetrabile muraglia atalantina che avrebbe potuto indurli a sciupare palloni “pericolosi” che repentinamente potevano tramutarsi in occasioni gol per gli avversari, invece, gli azzurri non si sono mai discostati da quella trama di gioco inferta nelle loro menti da Benitez, improvvisando fraseggi o passaggi scriteriati.

L’insistito e lungimirante possesso palla, infatti, ha sortito il suo prolifero effetto, unitamente all’estemporanea ed ottimale interpretazione delle dinamiche di gioco da parte dell’allenatore spagnolo.

La scelta di far entrare i perentori Hamsik e Callejon in quel momento della ripresa, allorquando il match imperversava proprio in quelle fasi di gioco, è tutt’altro che casuale o dettata dalla “paura” di non sbloccare il risultato.

Piuttosto è la strategia oculata di un tecnico che vuole vincere e sa quale volto imprimere alla propria squadra per conquistare i 3 punti.

Il lavoro praticato dal Napoli fino al 71′, apparentemente sterile e sonnacchioso, in realtà, è servito a sfiancare gli avversari per poi infliggergli il colpo di grazia.

La prima “mazzata” porta la firma di Gonzalo Higuain che ha ampiamente meritato la prima, accorata e pomposa ovazione che il San Paolo gli ha indirizzato.

L’argentino ha la classe, le giocate e le movenze dell’attaccante puro e completo, supportate, per giunta, da muscoli in grado di rilasciare un’importante forza esplosiva.

E non è roba da tutti.

Il colpo del ko viene inflitto alla “Dea nerazzurra” da colui che non ha avuto paura di farsi carico della pesante eredità racchiusa in quel numero “7” che gli grava sulle spalle e le sue prestazioni evidenziano il perché.

Callejon è un calciatore risoluto e risolutivo, propositivo, versatile, dinamico, motivato e prezioso per quello che è capace di imprimere alla manovra di gioco azzurra.

Ad onor del vero, l’intero pacchetto giunto a Napoli con l’etichetta “Saludos desde Madrid” – quindi anche il baluardo della difesa, Raul Albiol – sta dimostrando di essere in grado non solo di iniettare a questa squadra in maniera celere gli automatismi di gioco, ma anche una mentalità diversa, quella peculiare di chi è “abituato e predisposto a vincere.”

E non dimentichiamoci di colui che, una partita dopo l’altra, si sta prepotentemente ergendo a vero, unico, grande, inestimabile top player che Napoli ha abbracciato nel corso di questi anni, mostrando una sfrontata personalità ed un’esponenziale crescita, mentale, tattica, caratteriale, emotiva, complessiva: la sontuosità di Marek Hamsik sta costringendo tifosi ed addetti ai lavori ad attivarsi per inventare nuovi sostantivi ed aggettivi utili a quantificarne il progressivo ed incontenibile talento, perché, quelle esistenti, sono già stati esauriti, tutti.

Al di là delle prestazioni dei singoli, quindi di un Inler in grande spolvero, di Mesto che ha espletato bene la propria mansione, difendendo a dovere l’area azzurra, seppur rivelandosi meno propositivo nella fase di spinta, di Mertens che nei primi 45′ ha speso tanto, apportando un significativo contributo alla causa, così come la complessiva performance di tutti coloro che hanno dato corpo al Napoli sceso in campo ieri contro l’Atalanta, è la mentalità mostrata dalla squadra unitamente all’atteggiamento, diverso, più propositivo, quello di un gruppo consapevole delle proprie potenzialità, l’aspetto che può e deve costituire un ferma e rassicurante ragione per sentirsi legittimati a guardare verso il futuro con gli occhi intrisi di fiducia ed ottimismo.

Anche se il futuro prossimo decreta che l’imminente avversario contro il quale il Napoli di Benitez sarà chiamato a sviscerare l’ennesima prova di maturità e carattere si chiama Borussia Dortmund.

Luciana Esposito

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Articolo modificato 15 Set 2013 - 16:05