Poteva esserlo, ma non lo è stato, nel momento in cui, presso la loro sede è pervenuta una lettera anonima che vi riportiamo integralmente:
“IL REGNO DI NAPOLI NEL XXI SECOLO
Il popolo napoletano, così definito storicamente, crede a buon diritto ad avere uno Stato indipendente (essendo un popolo ben distinto) con il proprio governo, una propria moneta, un proprio progetto politico, sociale e morale. Noi purtroppo, come il resto dell’Italia, dobbiamo convivere con tre associazioni a delinquere: la prima politica, capeggiata dal Presidente della Repubblica, la seconda giudiziaria, guidata dal Consiglio Superiore della Magistratura, definite, le sopra citate, le caste responsabili della rovina del Paese, la terza, la camorra, da sempre, per antonomasia l’associazione a delinquere più presente sul nostro territorio. Il prodotto interno lordo della provincia di Napoli (su questi confini dovrebbe sorgere la nuova Repubblica Camorrista con Napoli capitale) nel momento storico ed economico attuale, non può permettersi di mantenere tre associazioni a delinquere, ma una sola, e noi abbiamo scelto la camorra che conosciamo molto bene, a differenza delle altre due molto più subdole, inafferrate, ben mascherate, che noi odiamo profondamente. La nostra cultura sottosviluppata, basata sul disordine sociale, morale ed economico pensiamo sia affar nostro. Se noi sotterriamo rifiuti e ci coltiviamo sopra, se buttiamo la spazzatura per le strade e poi la bruciamo producendo diossina che ci avvelena, se preferiamo drogare i nostri figli anziché dargli un’istruzione degna di questo nome ed infine derubare liberamente i turisti come si conviene con grande destrezza, pensiamo sia una scelta culturale che va rispettata. Queste le motivazioni che ci inducono a un referendum che ci consentano di divenire la Repubblica camorrista napoletana indipendente, per creare un nuovo Stato proiettato verso le future generazioni e così realizzare un sogno tanto caro a noi, perché noi non siamo italiani, noi, siamo napoletani.
Comitato promotore referendum per la nascita della Repubblica camorrista napoletana con Napoli capitale.”
Al cospetto di un così spudorato e riprovevole atto di efferato e turpe razzismo, si potrebbe intavolare un dibattito destinato a protrarsi all’infinito.
Questo insano e malsano gesto, in realtà, rappresenta una cruda istantanea della realtà nella quale vivono e con la quale sono costretti a convivere i nostri fratelli, i nostri figli, “i nostri napoletani” che per qualsivoglia ragione dimorano al Nord ed, in particolare, in quella Torino che talvolta sa affondare coltellate lancinanti nell’orgoglioso spirito di appartenenza che infervora l’anima dei nostri napoletani.
Solo perché esiste quel legame di odio eterno che contrappone la fazione azzurra a quella bianconera.
Quell’odio che non dovrebbe mai sconfinare dal mero e sano punzecchiamento calcistico, mentre, invece, quell’indomita ed avversa intolleranza, che poco o nulla ha a da spartire con il calcio, confluisce in ben altri contesti, straripando nell’incomprensibile e categoricamente condannabile estremismo.
Quei napoletani che hanno fondato quel Club azzurro nel cuore del Piemonte, in realtà, hanno sposato una coraggiosa causa che va ben oltre la semplice pratica di attività finalizzate a sostenere la loro squadra del cuore, in quanto, si tratta di un’associazione socialmente più che prolifera ed attiva, sia in ambito benefico che per quanto attiene la continua e propulsiva organizzazione di eventi gastronomici, musicali, culturali, finalizzati a radicare, preservare, promuovere e valorizzare la tradizione napoletana, in tutte le sue molteplici, sfavillanti, profumate e soavi sfumature, in quel territorio, in ampia parte, tanto ostico quanto poco predisposto a tollerarne odori, rumori e valori.
I ragazzi del Club azzurro di Cambiano, “i nostri napoletani che vivono a Torino”, hanno scelto di replicare a questo episodio di brado e deprecabile delirio razzista, prendendo in prestito il nuovo e significativo coro partorito dalla curva B: “In un mondo che non ci vuole più, canterò di più, canterò di più!”
Ed, inoltre, domani all‘Oratorio di Cambiano svolgeranno una manifestazione di beneficenza e di cultura napoletana.
Per sottolineare, oltre che con le parole, anche e soprattutto con i fatti, la loro vibrante e ferma intenzione di “cantare di più”.
Perché, erroneamente da quanto asserito in quel farneticamento di futili ed arcane parole, anche i napoletani sono italiani, ma ciò che li diversifica, che ci diversifica dagli italiani è che noi napoletani sappiamo cantare più forte ed anche con maggiore e più sentito vigore della stolta e dissennata ignoranza.
Luciana Esposito
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Articolo modificato 20 Set 2013 - 23:08