L’anima napoletana di Benitez: così Rafa ha conquistato la piazza partenopea

Maria De Montserrat e Rafel BenitezDiventerà napoletano poco alla volta perché è pur sempre un gran signore di Madrid e, come tutti gli spagnoli di Castiglia che hanno dominato a Napoli, per il momento domina. Ma non è il dominio duro dei viceré. Rafa Benitez domina il pallone del golfo con dolcezza partenopea, con la signorilità del vecchio mondo napoletano e, ultimamente con l’arguzia di Eduardo e Troisi, forse la prima concessione all’ironia del luogo quando ha confessato che avrebbe chiesto al cuscino la formazione per battere il Milan, cioè ci avrebbe pensato prima di addormentarsi.

Così, poco alla volta, una battuta ieri, una simpatica citazione oggi, un sorriso d’intesa domani, Rafa Benitez diventerà napoletano, ma conserva ancora la sua essenza castigliana, una serietà carezzata dalla pinguedine regale. Forse, più dei viceré di una volta, Rafa conosce Napoli, sa di essere sull’orlo di un vulcano indomabile ed è essenziale l’equilibrio per non caderci dentro. E, allora, pur sorridendo, misura le parole, ma cerca contemporaneamente di inserirsi nella realtà napoletana, non solo andando a godersi i monumenti della città, e il Cristo Velato soprattutto. Insegue il panorama e va a farsi popolarmente una pizza. Napoli è un incantesimo e ci sono stati soprattutto calciatori venuti da fuori che hanno voluto subito “diventare” napoletani, offrendo alla città il cuore e abbarbicandosi al dialetto con risultati esilaranti. Benitez non farà mai questo. Perché resta un grande di Castiglia, di quei grandi che hanno dominato il mondo e, nel suo campo, l’ha dominato anche Rafa, studioso e maestro di football.

C’è una sola occasione in cui, probabilmente, Rafa Benitez diventerà napoletano, quando a Napoli si farà festa grande nel calcio come ai tempi di Diego. Ma non è detto. Le sue guance si faranno più rosse, forse gli sgorgherà una lacrima, ma, accidenti, avrà sempre l’atteggiamento del padre di famiglia tenero ma autorevole da non concedersi troppo perché ci sarà sempre da stare in equilibrio sull’orlo del vulcano. D’altra parte vive a Napoli con una corte spagnola, i Francisco, i Javier, i Pedro, i Gomez del suo staff, e l’avvocato Pecchia, suo vice, è un laziale di Formia, azzurro di grande generosità ai suoi tempi sul campo, ma, insomma, non è una combriccola che può sollecitare il “generale” a grasse risate partenopee. E’ un bene perché a diventare napoletani ci vuol poco, ma poi tutto può finire in vacca con entusiasmi traditori e rilassamenti perniciosi.

Così Rafa Benitez rimane, ma senza supponenza, dietro la sua cattedra castigliana, pronto al sorriso e al dialogo, e perfino “comprensivo” con i calciatori ai quali dà un giorno di riposo dopo avere battuto il Borussia con grande scandalo dell’esagerato calcio italiano sempre agitato, concentrato, tattico e claustrofilo. Rafa Benitez, battendo Borussia e Milan, non dirà mai di avere messo la iglesia al centro della ciudad, anche perché, da uomo colto, sa che a Napoli ci sono 448 chiese e non è il caso di aggiungerne un’altra, per giunta profana come il Calcio Napoli. Il professore ha una sua scrupolosa serietà e una bonomia ingannatrice perché accompagna la sua pazienza con un forte senso del comando. Scrivono tutti che “non guarda in faccia a nessuno”, nel senso che fa giostrare gli uomini col tatto dovuto ma con le idee chiare, senza compromessi. Non sarà mai un viceré perché sarebbe ridicolo essere il Viceré di Castelvolturno, terra sì di sogni e di chimere, ma non è Napoli. Ai napoletani Rafa piace, ma non ci sono entrati ancora in confidenza, se pensiamo alle notti allegre col petisso, però ci sono stati allenatori duri e puri, Ottavio Bianchi in testa, che il popolo azzurro ha apprezzato senza mai andarci a cena. Benitez, per il momento, è un napoletano a metà e prevale la metà castigliana di grande prestigio e signorilità.

Fonte: Il Corriere dello Sport

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