Ma quant’è indigesto il turnover? Tanto. Almeno al Napoli. In tutte le versioni, per giunta. Perché Mazzarri era accusato di farne poco, Benitez è andato ad arenarsi sul Sassuolo per averne fatto troppo. La questione è annosa e antica. Almeno un quarto di secolo, da quando Silvio Berlusconi lanciò l’idea con il Milan. Voleva vincere tutto (e ci riuscì, come è noto), reclutò i migliori giocatori dell’epoca (fine anni Ottanta) ma poi si imbufaliva perché in campo Arrigo Sacchi gli mandava Colombo e lui, leggendo la formazione, aveva lo stesso sussulto di Don Abbondio davanti a Carneade: «Chi era costui?». Il fatto è che non è semplice inseguire due obiettivi contemporaneamente e non esiste una regola valida in assoluto. Conseguenza: può sbagliare chi lo fa e può sbagliare anche chi non lo fa. Il Sassuolo ha, in pratica, sollecitato un nervo scoperto. E per rendere meno sensibile quel nervo non è bastata nemmeno la grande esperienza internazionale di uno come Rafa Benitez, perché poi in campo ci vanno i giocatori e le squadre si basano su equilibri che spesso sfuggono alla pianificazione umana.
Eusebio Di Francesco quando ha letto la formazione del Napoli deve essere sobbalzato per la sorpresa sulla panca dello spogliatoio. Poi, però, sulla panchina del San Paolo è sobbalzato Rafé che non è riuscito a capire come la stessa squadra vittima della maramalderìa del suo «fantasma» (Mazzarri) sia riuscita a uscire indenne dallo stadio napoletano che si attendeva la sesta vittoria stagionale. Sono arrivati, invece, il primo pareggio e la perdita della vetta. Chi cambia vince? E’ possibile. Ma a volte non vince anche chi cambia troppo perché, poi, conta l’abitudine dei titolari a stare più degli altri in campo: si conoscono meglio, sono capaci di far scattare con maggiore efficacia meccanismi sperimentati in allenamento. E ancora: si può cambiare tanto in una settimana in cui si è sostanzialmente tutti alla pari visto che si giocano tre partite in otto giorni? La Juve, ad esempio, ha cambiato meno di Benitez. E, comunque, perché cambiare totalmente una difesa (perché anche Mesto è «nuovo» visto che Maggio staziona in infermeria)? Il «minimalismo» di Conte (per quanto agevolato dal buon cuore arbitrale) alla fine ha avuto ragione. Il minimalismo ancor più minimo di Garcia ha trionfato a Marassi. Il massimalismo di Benitez è uscito un po‘ malconcio. Questione di testa, probabilmente: il Sassuolo non è il Milan. Ma anche di gente che in campo fatica a ritrovarsi.
Come dice un vecchissimo adagio, c’è una misura in tutte le cose. E gli allenatori, anche quelli da sempre alle prese col turnover, non amano cambiare troppo: semmai teorizzano gli avvicendamenti, ma poi cercano di limitarli al minimo perché conoscono bene i rischi dei cambiamenti eccessivi. Normalmente, poi, gli avvicendamenti riguardano alcuni ruoli, quelli che comportano grande dispendio energetico. Quindi, i centrocampisti di movimento. e gli esterni, sia quelli alti che quelli bassi. Difficilmente vengono avvicendati in «massa» i centrali anche perché la lavorano in uno spazio limitato del terreno di gioco e la «fatica» finisce per essere minima. Il turnover resta, comunque, per tutte le squadre un problema. Soprattutto per quelle che non hanno una grande esperienza di coppe europee. Peraltro, la questione non è tanto la fatica fisica, quanto quella mentale: la Champions, da questo punto di vista, comporta un enorme dispendio energetico. Tradito sul terreno degli avvicendamenti, adesso Benitez dovrà provare a rivedere i suoi piani, probabilmente a dosare meglio il turnover.
FONTE: Corriere dello Sport