“Chillu guaglione sape jucà bbuon“. Questa frase in dialetto è quella tipica che si sente pronunciare da qualsiasi napoletano si imbatta in un potenziale campione, un’atleta che si avvia a divenire uno sportivo a tuttotondo, con alte probabilità di essere un fenomeno. Fu proprio così che dal piazzale D’Annunzio antistante lo stadio San Paolo, il piccolo Nino Musella, “Ninuccio“, si apprestava a scrivere la pagina più bella per un napoletano a Napoli, e cioè fare la storia della squadra della propria città. Un provino, l’ingaggio, l’inizio del sogno. Classico trequartista dal baricentro basso, ottime le doti tecniche, estro da affinare ma, in prospettiva, questo ragazzo si farà. L’allora responsabile delle giovanili Lambiase si accorse che il giovane Nino aveva i numeri per sfondare, ma che avrebbe dovuto cercare più spesso il fraseggio e meno i personalismi, tant’è che decise di fargli provare “l’ebrezza” di giocare da terzino, dove si prendono botte se ti metti a tentennare palla al piede (nella foto Musella con la maglia del Napoli).
Era anche un ragazzo che piaceva alle donne, al punto che si divideva tra il calcio e i suoi flirt amorosi, tipici per un ragazzino bello e di sicuro avvenire. La grande occasione arriva dopo aver vinto lo scudetto con la primavera di Mariolino Corso, nel 1978, quando mister Di Marzio lo fece debuttare in serie A col Milan, nella gara vittoriosa per 0-1 grazie ad un rigore di Savoldi. Gli fecero da chioccia Bruscolotti, Massa, Krol e Juliano nelle veci di dirigente responsabile della squadra. Passerà in prestito al Padova per fare bagaglio di esperienze e per ritornare con la giusta tempra per affrontare un campionato impegnativo con la maglia azzurra. Ma l’anno di grazia fu il 1980, quando gli azzurri sfiorarono il tricolore, perso a seguito della gara maledetta col Perugia, in quell’anno Nino divenne uno dei punti fermi della squadra, guadagnando anche la convocazione in Under 21. L’anno successivo la sua verve perse d’intensità e fu ceduto al Catanzaro, dove si avvio la sua lenta parabola di declino, finendo in squadre minori senza possibilità di riemergere. Si ricordano gli anni con la Juve Stabia, dove realizzò 26 gol in 82 presenze. Col Napoli invece si fermerà a quota 13 gol in 67 presenze, e fu lui stesso ad ammettere di aver gestito male gli anni migliori della sua carriera, dove con un piccolo sforzo e con le persone giuste al suo fianco, oggi forse avremmo parlato di ben altra carriera. I nuovi incarichi da allenatore lo hanno portato a guidare squadre di C e dilettantistiche, senza mai metterlo sotto la giusta luce per tentare di affacciarsi nel calcio che conta.
In questi giorni la notizia funesta, un infarto fulminante che spezza d’improvviso la vita di un uomo di calcio a 53 anni. Un destino beffardo il suo, sempre pronto a ostacolarne il cammino, sempre insensibile, privandolo di fortuna nei momenti che contano e esponendolo ad una morte quasi come fosse un cardiopatico cronico. Resterà comunque vivo nella memoria storica napoletana quel poco che è riuscito a dare, al di là dei rimpianti che gli si possono attribuire. Tutti ricordano ancora quel gol alla Fiorentina all’Artemio Franchi che regalò agli azzurri una vittoria attesa dieci anni, oppure la rete al Toro che espugnò il Comunale, ma anche il gol al Brescia nel 1-2 che permise al Napoli di violare il Rigamonti. E’ proprio con questo gol che ci congediamo dai nostri lettori, è con questa rete che diciamo addio ad un campione mancato, ad una eterna promessa che non riuscì ad avere le fortune che oggi in molti hanno ma sembrano non saper sfruttare. Che la storia di Musella sia da esempio, un modo come un altro per ringraziare Dio, il destino, la sorte, per quello che di buono ci ha mandato, senza dimenticare le sfortunate esistenze altrui. Che l’aldilà ti possa sorridere, Nino, addio ragazzo di Napoli…