Inghilterra, ci risiamo. Prima Liverpool, poi Manchester. Londra, ci risiamo. Prima Chelsea, poi Arsenal. Sarà anche capitato, ma ormai gli stadi inglesi non hanno più segreti per noi. Per il Napoli, invece, pare che ne abbia ancora parecchi. Tipo, come si fa una sovrapposizione sulla fascia, come si batte un fallo laterale a nostro favore senza regalarla all’avversario, come scendere in campo senza camuffarsi con il terreno da gioco.
Ma andiamo con ordine.
Arriviamo a Londra un paio di giorni prima della partita, con cinque biglietti al seguito, tre nostri e due da portare ad amici emigrati lì e, per questo, ritirati da me con delega. Momento epico in cui ho visto cose che voi umani…ma questa è un’altra storia e meriterebbe un approfondimento a parte. Per tutto il viaggio ho tenuto la borsa attaccata a me, come se avessi avuto dentro la pensione della nonna. Le cose preziose erano lì. Il resto, avrebbero anche potuto prenderselo!
Già in aereo, facciamo due chiacchiere con altri tifosi del Napoli. Accanto a noi due ragazzi, belli e simpatici, con i quali usciamo quasi a parenti. E, infatti, facciamo anche lo stesso percorso per raggiungere il nostro affittacamere, prima di capire che l’affittacamere è lo stesso e siamo gli uni di fronte agli altri. La coincidenza, a quel punto, diventa una bella opportunità per trovare due amici nuovi e non lasciarci per tutto il soggiorno a Londra. Loro abituali di curva A, noi di curva B. Allo stadio ci saluteremo da lontano, ma vicini col cuore e con la voce. E stavolta non è stata una trasferta anche turistica, stavolta siamo andati lì per portare un po’ di Napoli a chi la propria terra l’ha lasciata per trovare fortuna altrove. E l’ha trovata. E allora, mentre noi testardi la cerchiamo ancora in questo Paese che da lontano sembra essere piccolo piccolo, nel frattempo abbiamo goduto della loro. Li abbiamo trovati bene, in forma, felici, ma famelici di azzurro e desiderosi di vedere la propria squadra giocare in quella che ormai è un po’ diventata casa loro. E, magari, non essere presi in giro una volta tornati a lavoro. Purtroppo noi abbiamo potuto garantire solo sulla prima. E speriamo di averlo fatto bene.
Il giorno prima è andato via tra un giro a Camden, dove non ci tornavo da 17 anni e non provate a farvi due conti sull’età. La tensione non si sentiva ancora, almeno fino a quando non abbiamo deciso di fare un giro di perlustrazione all’Emirates e allora lì è stata tutt’altra storia. Abbiamo visto cos’è uno stadio, cos’è l’esaltazione di una società, di una squadra, dei singoli che sono diventate bandiere come Henry e dei tifosi stessi, i cui nomi sono incisi sul piazzale antistante. Abbiamo visto cos’è uno store ufficiale, cos’è una biglietterie e un museo di trofei. Quest’ultimo, in realtà, visto solo per ingannare il tempo prima di salutare gli azzurri arrivati per la rifinitura e per uno sconto comitiva avuto dall’impiegato cipriota che ci ha provato con un amico. Dopo l’Emirates tutti a salutare un angolo di Napoli a Notting Hill. Il ristorante “da Maria” è un buco di napoletanità, con un proprietario della Sanità che non sa neanche lui perché è diventato famoso e un figlio che invece lo sa benissimo e cura la parte mediatica della situazione. Comunque bella atmosfera, bella chiacchierata con Pasquale, il proprietario, con la moglie e con amici e parenti che ci lavorano e che si autoinvitano a vedere una partita con noi in curva. Onore e piacere. E lì ci scappa anche una chiacchierata con Carlo Alvino secondo il quale Higuain, il giorno dopo, sarà sicuramente in campo. Questo dà modo ad uno del gruppo di tranquillizzarsi sul fatto che tutte le voci sulla sua assenza siano solo pre-tattica, ma non tranquillizza tutti gli altri che sudano freddo al pensiero di giocare senza l’unico che avrebbe dovuto tranquillizzarci. Insomma, la sera prima è il momento in cui comincia a salire l’ansia. E, purtroppo, avevamo ragione noi.
E allora, il mattino della partita ci svegliamo con dei sogni strani. C’è chi sogna un numero nove in campo, ma si chiama Antonio Careca. C’è chi sogna una squadra in campo senza Zuniga, il quale però entra a partita in corso per risolverla. Premonitore sul fatto che il colombiano non sarebbe mai sceso in campo, ma con la differenza che lo stiamo ancora aspettando. E per stemperare la tensione, la mattina facciamo un giro a Whitechapel sulle tracce di Jack lo Squartatore. Così! Giusto per non pensare a massacri e laghi di sangue. Più o meno, quello che avremmo visto in campo anche dopo qualche ora.
Già! Qualche ora! Che per qualcuno diventa qualche minuto o, per lo meno, come se fosse. Con la stessa fretta. Con la stessa frenesia. Come se mancassero pochi minuti. E, allora, colui che il giorno prima aveva riso sulla mia proposta di stare allo stadio per le cinque, ricordandomi che in Inghilterra si entra anche dieci minuti prima, alle due comincia a dare pugni sui muri per la tensione, a non rispondere a chi gli chiede a che ora si va all’Emirates, a bestemmiare perché una metro al capolinea si permette di partire dopo più di dieci minuti. Prepara la valigia in un nanosecondo, si rasa per scaramanzia in un microcentesimo di secondo, fa uscire il caffè con gli occhi in un micromillesimo di secondo. E in un microdecimillesimo di secondo è già di nuovo in metro, in direzione Holloway Road. E noi con lui, incapaci di contraddirlo. Anche perché la tensione era condivisa.
Arrivati all’Emirates, incontriamo un po’ di amici. In trasferta siamo più o meno sempre gli stessi, ma il vero spettacolo sono gli amici che a Londra ci vivono e che vorrebbero avere quell’onda azzurra in casa tutte le domeniche. Felici come bimbi. E sarà, invece, il loro sguardo sconsolato a fine partita che mi porto dentro, come unico aspetto negativo di questa trasferta.
La partita, l’avete vista. Qualcuno l’ha guardata dal divano, qualcuno dagli spalti, qualcuno in campo. Zuniga, Britos, Pandev, Hamsik su tutti. Ma ben accompagnati da tutti gli altri. E abbiamo capito perchè ci ripetevano da giorni “Mind the gap”. Il gap è stato evidente. In campo perdiamo meritatamente, sugli spalti ci facciamo sentire e, quando arrivano sfottò insistenti di alcuni gunners sbarbatelli che erano seduti sopra di noi, a qualcuno parte l’embolo. Fortunatamente, ci rideremo su a lungo, dopo, mentre ci avviamo verso l’overground gomito a gomito con due vecchietti ultras dell’Arsenal. Più che cannoni, due pistolette a salve.
Torniamo sconsolati, affamati e assetati. Ecco perché, prima di riprendere l’aereo alle sei di questa mattina, abbiamo voluto brindare a noi che siamo stati lì nonostante una sconfitta quasi pre –annunciata e alla nostra certezza: “Perde solo chi non sostiene”. E allora la nostra trasferta può anche finire qui, nonostante tutto, con il sorriso di chi si vive tutto fino in fondo.