La prima sconfitta stagionale del Napoli inizia nel momento in cui Gonzalo Higuain, dopo aver spinto a lungo per andare comunque in campo, deve arrendersi alla coscia dolorante e finire intristito in tribuna. Per come si svolge la partita, con l’Arsenal che la chiude in un quarto d’ora e il Napoli sempre distante anche dalla semplice ipotesi di poterla riaprire, verrebbe da dire che il centravanti argentino non avrebbe cambiato nulla. Beh, non è così. Higuain non è soltanto il cannoniere di questa squadra, ma ne rappresenta il coraggio, il supereroe la cui sola presenza aumenta la baldanza dei compagni, li fa salire di dieci metri ciascuno per stargli vicino, per dialogare, per provarci. Con tutto il rispetto per Pandev – l’unico ad aver già vinto questa coppa – abbiamo visto un Napoli poco incline ad andare profondo, come se non si fidasse delle capacità di Goran di tenere palla e far salire la squadra, o meglio ancora di spaventare l’Arsenal.
Limiti scoperti L’Emirates è un teatro complesso per una formazione che dal punto di vista europeo è ancora giovane; all’Emirates spirano venti impetuosi e l’erba è percorsa da correnti come se fosse un mare verde. Ci abbiamo visto perdere il Barcellona quand’era al suo meglio, ci abbiamo visto prendere una terribile bambola il Milan di Ibrahimovic e Thiago Silva; questo per dire che cadere qui non è umiliante, e non toglie al Napoli né il buon avvio di stagione né la prospettiva di competere per il passaggio del turno. Però questa serata ha indicato i suoi limiti, misteriosi fin qui ma ora più chiari; la combinazione fra l’avversaria forte – molto forte – e l’assenza dell’uomo che le infonde fiducia – molta fiducia – ha prodotto un pesante flop. Perdere 2-0 qui ci può stare, lo stesso Wenger ha descritto come un sogno il gioco espresso dai suoi nel primo tempo; quello che non va giù è il fatto che il Napoli non abbia mai dato un pensiero a Szczesny, nemmeno in una ripresa in cui i margini c’erano.
Super Arsenal Pur conoscendo bene i poteri magici di questo stadio, Benitez non riesce a proteggere i suoi ragazzi dall’impatto con l’Emirates. L’Arsenal procede a strappi, accelerazioni vertiginose intervallate da brevi pause, possesso alternato a triangoli velocissimi, e a governare la palla c’è una tecnica di base da capogiro. Quando il killer mode è inserito puoi fare tutta la conta degli errori napoletani che vuoi – e ci sono, altroché se ci sono – la prima spiegazione è comunque la bravura dei Gunners. La partita muore in 15 minuti nei quali il campo sembra in pendenza, sollevato dalla parte dell’Arsenal, con un percorso in discesa verso la porta di Reina. L’1-0 è una meraviglia, con il colosso Giroud emigrato sulla fascia a lanciare Ramsey con un tocco volante rovesciato; Britos che lascia passare il pallone e Zuniga che smarrisce Ramsey sono colpevoli, ma la combinazione è frutto di un lavoro tattico che Wenger affina da anni. Poi il giovane gallese – talento assoluto in fase di sparo – è così bravo da arrivare alla linea di fondo senza mai perdere di vista ciò che sta accadendo a centroarea. La difesa di Benitez non ha una capacità di pensiero collettivo che nelle emergenze le dia un ordine: rinculano tutti precipitosamente sul primo palo, liberando la linea dei sedici metri allo splendido, e comodo, piatto di Özil. Più che un gol è una poesia. Britos – che serataccia – ne resta soggiogato al punto da indirizzare un rinvio sui piedi del tedesco, e mettere una pistola carica nelle mani di un bambino sarebbe meno pericoloso. Con suprema eleganza Mesut assiste Giroud davanti alla porta, ed è la parola fine alla partita intesa come competizione.
Solo Insigne Mentre Özil squaderna sul prato dell’Emirates una classe così sconfinata da echeggiare fino al Bernabeu – dove manca, e tanto – il Napoli fallisce psicologicamente la prova più dura: non crede mai di poter rimontare, né con Inler che perde occasioni sparacchiando tiracci altissimi da 40 metri anziché provare a giocare con Pandev, né con Hamsik che galleggia anonimo sulla trequarti senza reclamare il pallone né con lo svagato Callejon. L’unico a uscire dal suo ruolo chiamando boccia è Insigne, che di pratico combina poco ma almeno tenta di spettinare il pacchetto arretrato londinese. Pure per lui il muro di Mertesacker e Koscielny risulta invalicabile, e la conversione al centro con tiro a giro sul palo lontano non inquadra mai la porta. Però ha il coraggio di provarci, e ieri sera non era da tutti.
Fonte: La Gazzetta dello Sport