Il pallone, quel pomeriggio livornese del 24 gennaio 2010, una domenica fredda e piovosa, non voleva proprio uscire nonostante tutti, ma proprio tutti, lo spingessero fuori con gli occhi ed il pensiero. Niente, macché: tic toc, batti e ribatti e via giocando. Una specie di maledizione. Una frenesia pazzesca e anche una certa tenerezza, a vedere il ragazzino che gli esperti dipingevano come un piccolo fenomeno saltellare per cinque minuti abbondanti nel gelo e, soprattutto, soffrire per la paura di non riuscire a esordire in Serie A. Poi, finalmente, al 94′ la palla decide di concedere la passerella: fallo laterale, gioco fermo, esce German Denis entra Lorenzo Insigne. E la storia ebbe inizio.
PARTITA SPECIALE – E allora, c’era una volta a Livorno. Una città che Lorenzo non potrà mai dimenticare e cancellare. dalla pelle. Una squadra che, nella simbologia del suo calcio estroso, sarà sempre il traguardo. Anzi, la partenza: è al Picchi, a diciotto anni, che la sua carriera di calciatore professionista è cominciata. E’ in una selva di maglie amaranto che lui, Lorenzo, ha piantato l’albero del grande sogno: ecco perché la partita di domenica non potrà mai essere una qualsiasi.
SECONDI DI GLORIA – Il 24 gennaio 2010, dicevamo. Tre anni e nove mesi fa. Una giornata in cui Mazzarri decise di concedergli la gioia e la soddisfazione dell’esordio in A prima della cessione in prestito alla Cavese, già concordata: ebbe giusto il tempo di sostituire il Tanque Denis, sorridere, provare un mezzo scatto in mezzo ai grandi e dire arrivederci a presto. Soltanto la sfortuna gli impedì di toccare anche il primo pallone: pochi istanti appena, utili all’almanacco, al morale e al pasticciere – così per rispettare la tradizione del brindisi e dei pasticcini nello spogliatoio – e nulla più. Secondi. Però di gloria.
IL RAMMARICO – Sì, davvero un bel momento, quello. Fermo restando un piccolo rimpianto che suo padre Carmine, tifoso talmente sfegatato da tatuarsi il volto del figlio che esulta dopo un gol su un avambraccio, ha spesso raccontato: proprio mentre il signor Mazzoleni, l’arbitro di quella partita che per la cronaca il Napoli vinse 2-0, si accingeva a fischiare la fine, Insigne era pronto a scattare sulla destra in una posizione ottima per puntare verso la porta. Non ne ebbe la possibilità. Per la disperazione di papà.
IL PRESENTE – Con il tempo, però, il giovanotto s’è rifatto eccome, scalando gradualmente la vetta dalla Prima Divisione alla Champions, dall’Under 21 alla Nazionale di Prandelli. Mica male. E oggi? Beh, Insigne è uno dei giocatori più interessanti del panorama mondiale; un talento vero, puro e cristallino, che appartiene a una razza in via di estinzione: i fantasisti. Quelli veri. I numeri 10, quelli degli assist geniali e delle punizioni impossibili. Le esigenze del calcio moderno e le evoluzioni tattiche hanno imbrigliato quelli come lui, diciamo la verità, però con Rafa ha ritrovato una certa libertà di esprimersi e di inventare che al Napoli, e a lui stesso, non fa altro che bene.
AL SAN PAOLO – Dal gennaio 2010 ne è passato di tempo, e sono sfilate via anche partite e gol importanti, però è certo che il Livorno non potrà mai essere un avversario come gli altri. Ritrovarlo dopo anni, e per giunta al San Paolo, sarà un’emozione. Un San Paolo che, tra l’altro, il 15 ottobre lo applaudirà anche con l’Italia in occasione della partita con l’Armenia: la prima di Insigne da padrone di casa con la Nazionale. Tutto in pochi giorni. E forse è meglio così: perché la delusione di Londra, una sconfitta che gli ha fatto venire anche i lucciconi agli occhi, è una lezione da assimilare ma anche da smaltire in fretta. La corsa allo scudetto, la Champions e il Mondiale sono camere con vista bellissima. Presente e futuro. E poi un passato che emoziona. C’era una volta a Livorno.
Fonte: Il Corriere dello Sport