Una domenica surreale. Ma non troppo.

È stata tutta una settimana all’insegna del surreale. Cinque giorni prima eravamo a Londra, all’Emirates, a fingere di essere grandi tra le grandi, ma in realtà non entrando mai in campo. L’Arsenal ci ha graziati con soli due goal, che fanno bene per la differenza reti e noi siamo tornati con qualche certezza in meno e parecchi dubbi in più. Pandev prima punta, Britos ancora in difesa, Hamsik ancora sottotono, Insigne e i suoi tiri a giro che ne ingarra uno ogni dieci tentativi. Alla fine il surreale prevale e rivediamo Pandev prima punta, Britos in difesa, Hamsik sottotono, ripresosi a giochi fatti e anche con un goal, con il solito cuore, quello che non è mai andato via, tanto che ci stava lasciando anche una caviglia.  Unica sorpresa, che in realtà ci aspettavamo di vedere a Londra, Mertens al posto di Insigne. Veloce, contropiede con i tempi giusti, l’assist per un Pandev che ci ha smentiti tutti, una punizione quasi goal grazie ad un miracolo di Bardi, niente tiri a giro ogni due minuti e perfettamente dentro gli schemi. Insomma, ci è piacuto. Ma quando siamo arrivati allo stadio non è stata quella la novità che più ci ha impressionati. E’ stato, piuttosto, il caldo, il sole, il cielo azzurro e non blu notte. Ecco, l’atmosfera surreale della partita alle tre. Un orario che ci ha mandato in confusione. A che ora si va allo stadio?  Il panino quando si mangia? Prima, durante o dopo? E la birretta post-partita come la facciamo? Siamo mica ancora in Inghilterra che i pub sono aperti alle cinque? Insomma, il panico comincia ad attanagliarci, ma è bastato varcare la soglia del nostro stadio sgangherato che subito è passato tutto. Salutiamo amici che sono lì già da mezzogiorno, che era l’orario giusto, ma noi ci siamo fatti fregare dal fuso orario. Salutiamo quelli che alla spicciolata arrivano. Salutiamo anche delle new entries, mamma e figlia, che in punta di piedi si presentano, si accomodano, timorose di prendere il posto di qualcuno “storico” del gruppo, conversano di argomenti di cortesia per poi rivelare durante la partita tutta la loro natura di tifose malate, con tanto di bestemmie e invettive, nonostante la partita fosse abbastanza goliardica. Promosse!

Prima della partita accogliamo un neo papà, dopo il primo goal accogliamo un futuro papà. La famiglia si allarga e noi speriamo che sia solo un motivo in più per festeggiare qualcosa d’importante quest’anno. È surreale come s’ intreccino tra loro il “sacro e il profano”, insomma, la nascita di un figlio è una cosa meravigliosa, ma la vittoria del Napoli sarebbe un ottimo modo per festeggiare. E allora concentriamoci su quella.

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Al fischio dell’arbitro, in mezzo al campo, uno striscione dedicato alla terra dei fuochi. Non sarà un cartello a spegnere i roghi tossici, ma sensibilizzare durante un grande evento, durante l’evento  sportivo per eccellenza nella settimana partenopea, sembra una buona cosa. C’è finalmente un’attenzione mediatica sulla questione e noi che abitiamo questa terra dovremmo per primi agire, piuttosto che parlare o farci fotografare con cartelli surreali, appunto. Noi che questa terra dovremmo amarla come un figlio ama la propria madre. Noi che ci vantiamo di essere partenopei, noi che conosciamo le storie di Carmine Crocco, Michelina De Cesare, Ninco Nanco  e cantiamo inneggiando al Vesuvio perché è la terra che amiamo, noi che sappiamo di essere il centro culturale e storico di un Paese che cerca in tutti i modi di sotterrarci e farci diventare tutt’uno con i rifiuti tossici, ricoperti dalla nostra stessa terra. E, invece, da una parte della curva B, quella dei Fedayn per la precisione, si levano all’improvviso cori razzisti verso noi stessi, quegli stessi cori che c’indignano ogni domenica, perché cantati con disprezzo da juventini, milanisti, interisti. Uno striscione “Napoli Colera” e un altro “E adesso chiudeteci la curva” che riesco a leggere solo una volta tornata a casa, poiché non si riesce quasi mai a leggere lo striscione esposto nella propria curva. Chiaramente gran parte della curva non partecipa a quei cori surreali, ma inizialmente li prendiamo per provocatori. Ci aiuta a quest’interpretazione anche la curva A che canta, invece, la storica “Un solo grido, un solo allarme…”, un coro vintage, come dice qualcuno dietro di me, e quindi sempre di moda. Tornati a casa, capiamo che l’intento era proprio quello di solidarizzare con chi continua ad inneggiare al Vesuvio per ucciderci tutti, con chi, nonostante la curva chiusa, ha continuato ad esporre striscioni sulla nostra puzza, con chi si fa chiudere una curva intera pur di gridarci in faccia il loro odio e disprezzo. Più che EAM – Estranei Alla Massa- a noi persone appassionate sono sembrati EAN – Estranei a Napoli. Dalla curva A uno striscione recitava: “Chiudere un intero settore è la vera discriminazione”. Vero. Verissimo. Sarebbe una vera ingiustizia chiudere un intero settore per un gruppetto di ignoranti che mettono davanti all’essere napoletano, figlio di questa terra, l’essere corporazione a prescindere senza usare il cervello, il cuore e l’anima.

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Beh, io, per fortuna, un cervello, un cuore e un’anima penso di averli ancora ed è per questo che mi dissocio da tutto ciò, che chiedo scusa a chi lotta per la propria terra, offeso dai cori razzisti provenienti dai propri fratelli, e non tornerò in curva con lo stesso spirito. Spesso non ho condiviso ciò che la curva esprimeva, ma quell’angolo al deck 4 restava comunque la mia famiglia e l’unico modo che contemplavo per guardare la partita, ma ieri mi sono vergognata di essere assimilata a quei cori.

Poi c’è stata la partita, i 4 goal, un Fernandez più sicuro, con piccoli sprazzi di “se stesso” con lanci nel vuoto, di nuovo la cresta di Hamsik, Inler che abbraccia Decibel Bellini, Pepe Reina che ci applaude per l’unico momento in cui le due curve sono state unite nel coro, Pandev che ci dedica il goal, il saluto ad un amico che per motivi di lavoro ritornerà allo stadio solo a dicembre, il pensiero alla sfida al vertice, se ce la fanno fare, e a come organizzarci per essere presenti. Insomma, in maniera surreale si torna al calcio e si tenta di dimenticare quegli insulti cantati nel proprio angolo di stadio.

Tornando a casa, però, ho pensato a chi, napoletano e tifoso del Napoli, vive al Nord. Verona, Torino, Milano, Bologna, Ivrea, Varese, Brescia, Bergamo. Penso a come si sono sentiti dopo la stupida provocazione di chi avrebbe dovuto difenderli a spada tratta. Surreale, dite?! No, purtroppo tutto vero.

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