Se vi dico “maglia numero 10 ritirata” a cosa pensate? Beh, certo! Anche io penso subito alla 10 azzurra del Napoli, al dio del calcio, al re inconfutabile del binomio “genio e sregolatezza”, ad un non napoletano che è riuscito ad entrare perfettamente in sintonia con questo complicato popolo. Bene. La numero 10 per eccellenza è quella di Diego Armando Maradona, è chiaro. Eppure, da quest’anno, quando si parlerà di numeri 10 tolti dalla circolazione perché “nessuno come loro”, ci dovrà venire in mente anche un altro sport, una “lei” e non un “lui”, una napoletana e non un argentino, ma che allo stesso modo ama la maglia azzurra e incarna benissimo lo spirito di questa città. Una città che, nonostante le mille difficoltà, lotta e, qualche volta, vince. E se non vince, ti strappa comunque un sorriso con un’ironia e un’energia che ti spiazzano.
Lo sport è la pallavolo, lei si chiama Dora Sollo ed è stata fino all’anno scorso la numero 10 e capitano della Marianna Guerriero Volley Arzano, squadra che milita in B1. A luglio si è sposata e quest’anno ha deciso di fermarsi per dedicarsi alla sua nuova famiglia. Magari allargandola presto. Ma una “10” non si ritira solo per un anno sabatico. Ammesso che Dora riesca veramente a star fuori dal campo per un anno intero.
Dora non è una giocatrice qualunque, chi la conosce sa di cosa parlo, ma visti i pochi riflettori che la pallavolo ha, sia a livello nazionale che locale, dubito che conosciate questa forza della natura. E allora, forse, vale la pena perder due minuti e dedicarli ad una numero 10, non solo nello sport. Ho avuto la sfortuna di giocarci contro, seppur in poche occasioni, e l’onore di giocarci insieme fino alle fasi nazionali della Juniores e posso testimoniare che di grinta fuori dal comune ne ha sempre avuta. Ma la sua carriera, secondo il destino e alcuni malfidati, sarebbe dovuta finire molto prima. Era difficile immaginare che Dora sarebbe potuta tornare in campo con gli stessi, se non addirittura maggiori, risultati di prima. Prima che la malattia la costringesse a fermarsi. Fermarsi non solo nella pallavolo, ma nella vita di tutti i giorni. Anche nel raccontarlo, Dora usa l’ironia e il sorriso. Giocava ad Isernia, aveva un allenatore attento e che faceva lavorare parecchio, e, quindi, è stato naturale per lei attribuire la sua stanchezza agli allenamenti pesanti e senza sosta di Ettore Marcovecchio. Poi le analisi non evidenziarono nulla e, quindi, la conferma che era tutto normale. Ma il senso di spossatezza continuava, sentiva di avere 40 di febbre e invece solo decimi, andò in ospedale pensando fosse soltanto un’influenza con qualche complicazione. E, invece, la diagnosi fu un duro colpo per tutti: leucemia fulminante. Dovette affrontare delle chemioterapie e sperimentare una nuova tecnica per poter fare in tempo: l’autotrapianto. Trapiantare le sue stesse cellule sane. Chiaramente sono stati mesi terribili, ma, probabilmente, il fatto che la sua seconda possibilità sia arrivata proprio da se stessa, le ha dato ancora più forza e consapevolezza di essere invincibile. Tutto ciò succede nel 2005. Ebbene, il trapianto riesce e pian piano Dora recupera perfettamente la forma e vuole tornare in campo, contro tutto e tutti. Ricomincia da una serie C, per riprendere il ritmo ed essere sicura di reggere. Quando me lo dice, quasi si scusa per non essere tornata subito a livelli alti. Come se fosse la cosa più naturale del mondo tornarci. Ma, poi, di nuovo la B1, grazie all’Aversa che ha creduto nel suo modo di affrontare le sfide. E nel 2011 di nuovo l’Arzano, la sua famiglia adottiva, dove Dora, dal 1999 al 2003, si era consacrata una degli opposti mancini più difficili da affrontare. Ebbene, proprio ad Arzano, l’anno scorso ha guidato la squadra fino alla finale dei play off, mancando la promozione in A2 per pochissimo e vincendo un premio personale come miglior giocatrice dell’anno.
È grazie a tutto questo che la società di Arzano ha deciso di annunciare, alla presentazione della squadra di quest’anno, il ritiro della maglia numero 10. Più che ritiro è stato un affidamento o un tentativo di riportarla in campo al più presto. Infatti, Dora è tornata a casa con il suo completino nuovo, l’ha indossato per scherzo e chissà se questa volta non la perda una sfida: quella con il cuore che le dice di rimettersi quelle ginocchiere e riportare il suo sorriso sotto rete.
Un’amica e sua ex compagna di squadra ha scritto su facebook una frase che ho letto proprio mentre scrivevo la storia di Dora: “Le cicatrici che porti sono il segno di chi combatte.” Non so a cosa si riferisse, ma io non ho potuto non citarla e non riferirla alla numero 10 appena ritirata. Aggiungendo, “di chi combatte, e vince!”.
Articolo modificato 16 Ott 2013 - 23:46