Le piace il concetto di discriminazione territoriale? «Il punto è un altro: non bisogna pensare solo di intervenire dopo. Tutti noi dovremmo chiederci: ma prima cosa abbiamo fatto per educare chi va allo stadio? Come si fa a far capire al tifoso che bisogna solo fare il tifo a favore della propria squadra del cuore e mai contro?» Già, come si fa? «L’ho detto. Magari c’è chi pensa che si tratti si sfottò, e fino ad adesso ha ridimensionato certi episodi: ma non c’è nulla da ridere. Razzismo non è solo gli odiosi buu contro i giocatori neri». Da parte di molti, però, traspare la preoccupazione che sparute frange di tifosi possano ricattare le società facendo leva sui danni economici. Lei che ne pensa? «Il rischio c’è. Ma anche i club possono collaborare di più. Conoscono i nomi degli ultrà che hanno in mano le curva. Se vogliono, possono spezzare il filo che li tiene legati. Anche se per fortuna sempre di meno». In Juventus-Napoli è scesa in campo una vera task force di ispettori federali. Esagerato? «Un po’ sì. A me certe esasperazioni non sono mai piaciute. Non amo le militarizzazioni: gli stadi non devono diventare come le città dove dominano i clan e che occorre controllare metro dopo metro. Per questo dico: meglio educare i tifosi». Quando le curve, anche di tifoserie rivali, si sono unite per combattere le norme anti-discriminazione cosa ha pensato? «Che il tifo c’entra ma fino a un certo punto: ci sono alleanze che vanno al di là di quello che avviene sui campi di gioco. La cosa deve far riflettere. Nonostante tutto, alle curve non sono bastate le nuove, più addolcite, norme sulla discriminazione territoriale. Rivendicano la libertà di insultare, in nome dello sfottò da stadio. Non c’è più nulla di ridere. Nessun coro può passare inosservato. Il Giudice Sportivo vada avanti così e non si fermi per niente al mondo. Magari qualche tifoseria a furia di non vedere più partite allo stadio ma solo in tv imparerà la lezione»
FONTE Il Mattino
Articolo modificato 12 Nov 2013 - 09:57