De Laurentiis ha saputo attendere. E ha avuto ragione. La legge sugli stadi – il governo ieri mattina ha incardinato l’emendamento nella legge di stabilità come annunciato prima dal premier Letta e poi dal ministro dell’Interno Alfano – sembra fatta su misura per un club ambizioso come è il Napoli. Non c’è alcun bisogno di comprare il San Paolo: la legge spalanca le porte alla privatizzazione della struttura di Fuorigrotta. Una pagina e mezzo di norme che sintetizzano in poche righe quello che è un piano che dovrebbe rivoluzionare stadi e impianti d’Italia nel giro di pochi anni. E che interesserà sicuramente anche lo stadio San Paolo e gran parte degli stadi di Napoli e provincia. Quasi tutti non privati.
L’emendamento, per scelta del capo del governo, è ancora avvolto nel mistero. Di fatto, è blindato: seguirà l’iter legislativo della legge di stabilità. Michele Uva è direttore generale della Coni Servizi e ha contribuito in prima persona a scrivere le nuove norme. «Sarà una legge che consentirà di ottenere enormi benefici a chi presenterà progetti lungimiranti, sostenibili, adatti al contesto sociale dei luoghi dove verranno realizzati. Saranno investimenti che daranno grandi ritorni. Per tutti. Una svolta che ci avvicina ai grandi Paesi d’Europa».
Il Coni è attore principale in questa svolta storica per lo sport italiano. Ma nessuno ha voglia di svelare quello che presto diventerà legge. L’emendamento mette a fuoco un percorso per arrivare a una organizzazione low cost e senza costi per la comunità, vale a dire una soluzione «blindata» davanti al rischio di sprechi, dispersione di denaro e cattiva gestione, che spesso ha condizionato le scelte organizzative italiane. In pratica, dal giorno dopo l’entrata in vigore, il Napoli può presentare al Comune il suo progetto (già pronto da tempo) di restyling per il San Paolo. La legge sugli stadi spiega che il progetto deve essere sostenibile sotto il profilo finanziario, non deve prevedere impiego di fondi pubblici e deve avere una chiara configurazione dei tempi di realizzazione. Insomma, non è che lo stadio può restare un cantiere eterno. In pratica: il club – ovvio che la priorità è di chi già fruisce dell’impianto – presenta al Comune il suo progetto. Se risponde ai requisiti indicati dalla legge, c’è poco da fare: i Comuni devono dare l’ok. Punto. E devono dare il via libera nei tempi previsti dalla legge: sembra circa 10 mesi. Se non lo fa – ecco un’altra novità – il governo provvederà a nominare una terza figura, una sorta di commissario o un’autorità esterna, che dovrà provvedere al rilascio delle licenze.
Questo non significa che la legge prevede formule magiche per bypassare vincoli esistenti. E per il San Paolo ce ne sono molti. Solo che prevede una procedura rapida per superarli ed evitare che la macchina procedurale in corsa cominci a perdere colpi, sbandare, arrancare, tirare un rantolo e andare a piantarsi. Insomma, uno snellimento dei passaggi burocratici che nel caso del San Paolo, e di qualsiasi vecchio stadio italiano, prevede una macchinosità di certe procedure, passaggi burocratici, autorizzazioni. Dunque, non ci saranno vincoli paralizzanti o eterni tavoli di servizio. Forse per questo il presidente del Napoli ha sempre fatto la voce dura: «Se non prendo il San Paolo vado a costruire lo stadio a Caserta». La nuova legge glielo consente. Anzi, gli spiana la strada. Dal momento della sua entrata in vigore, diventa quasi secondario il ruolo dei comuni. In fondo la legge pensa anche a loro: con la «privatizzazione» degli stadi si liberano di costi oramai insopportabile. Discorso diverso il contenzioso sempre in ballo tra Napoli e Comune. Ballano diversi milioni di euro.
L’emendamento sugli stadi non fa riferimento agli interventi esterni, quelli per rendere compatibile l’investimento (centri commerciali, abitazioni, musei): su questo argomento, le amministrazioni comunali potranno dire la loro. Sugli stadi, invece, il loro ruolo diventa davvero secondario.
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 20 Nov 2013 - 10:11