È giunto l’inverno anche nel famigerato “Paese d’ ‘o sole”.
La partita interpretata ieri sera dagli azzurri, lo sentenzia in maniera inequivocabile.
Quel Napoli, così impersonale, amorfo, freddo, abulico di spunti ed idee, incapace di affondare in maniera marcata ed incisiva i propri artigli nel match, ben rispecchia il clima insediatosi all’ombra del Vesuvio, a ridosso delle ore antecedenti alla gara, soprattutto perché, per la prima volta nella storia dell’era Benitez, la squadra non ha saputo imprimere quell’enfatico e veemente pathos emotivo al pubblico presente sugli spalti, quell’apoteosi di fumante e passionale carica emozionale in grado di infervorare gli animi partenopei e dispensare sussulti, dai divani o dagli sbiaditi sediolini del “Tempio di Fuorigrotta”, come solo quelle folate, a base impeto ed orgoglio, inscenate da coloro che danno corpo ed anima alla maglia azzurra, sanno inconfondibilmente fare.
Ieri sera è calato proprio l’“inverno” su(l) Napoli.
Di alibi ed attenuanti dietro i quali nascondersi per ovattare e legittimare la prima sconfitta maturata tra le mura amiche del San Paolo, se ne possono ricercare di svariati e leciti: lo stato psico-emotivo scaturito dalla “disfatta di Torino”; il ritorno in campo dopo la sosta per le Nazionali; le condizioni del campo, pesante ed infimo, che mal si adattano alle caratteristiche di gioco del Napoli, a base di fluidità e dinamismo; un potenziale calo di concentrazione, in virtù dell’imminente impegno–Champions; la condizione fisica deficitaria di taluni uomini-simbolo; un blackout generale, in termini di attenzione, lucidità e concentrazione; la mancanza della “mentalità da grande squadra”, quella utile per archiviare senza affanni le gare contro “le piccole” e necessaria per affrontare a viso aperto, senza indugi né timori reverenziali le big del calcio, italiano e internazionale.
Si potrebbe andare avanti davvero all’infinito, ma la verità è innegabilmente una sola: il Napoli, ieri come a Torino, ha meritato di perdere e, per la prima volta da quando è approdato all’ombra del Vesuvio, “Don Rafè” ha sbagliato l’approccio alla gara e non si è rivelato repentinamente abile nel leggere le trame di gioco ed attuare quegli accorgimenti tecnico-tattici utili ad arginare le lacune che traspiravano dal campo e mettere la squadra in condizione di evadere da quella sterilità di soluzioni nella quale imperversava.
Facile, troppo facile e poco costruttivo, con il senno di poi, ergersi a “professori del pallone” ed impartire qualunquistiche ed inconcludenti lezioni in materia al sapiente Benitez.
Una sconfitta, di certo, non può e non deve oscurare tutto quello che di buono ha mostrato fin qui, la squadra forgiata dall’allenatore spagnolo ad immagine e somiglianza de suo credo calcistico.
Ha sbagliato Benitez, hanno sbagliato i calciatori in campo.
Anche quando si perde è giusto e sensato, ripartire gli oneri in porzioni uguali tra tutti gli interpreti della performance, esattamente come si fa con gli onori quando si vince.
Pericoloso e controproducente si rivelerebbe, in questo momento, inscenare “la caccia all’errore” ed analizzare la gara di ieri sotto la lente d’ingrandimento, animati dalla livorosa smania di ricercare il capro espiatorio verso il quale puntare il dito.
Ancora più deleterio e nocivo sarebbe tributare, a Benitez e ai suoi, la “crocifissione pubblica” in Piazza del Plebiscito, in concomitanza di un impegno topico e cruciale come quello che gli azzurri sono chiamati a sostenere a Dortmund, contro un Borussia che venderà cara la pelle e che, probabilmente, è l’avversario più scomodo che poteva capitare al Napoli in questo momento storico: dopo la sconfitta di Torino e quella maturata contro il Parma dell’ex Donadoni, perfino orfano di capitan Hamsik.
Nulla è perduto ed i giochi sono tutt’altro che compromessi: questo deve essere ben chiaro ai gladiatori azzurri, agli addetti ai lavori ed ai supporter.
Il “momento no” va analizzato con il propositivo approccio di chi ha voglia di ritrovarsi e migliorarsi, animato dalla caparbia consapevolezza di chi sa che il tempo è tiranno ed in questa fase della stagione, il Napoli è tenuto a conferire nuovamente luce e volto al più determinato e cruento piglio combattivo, quello utile non tanto a conquistare quel famigerato 25% che, stando a quanto dichiara l’allenatore azzurro, ancora manca alla squadra, quanto a riconfermare e rilanciare quel 75%, probante e risolutivo, mostrato finora.
Insomma, a dispetto della canuta parrucca indossata dal Vesuvio, il Napoli è chiamato a ritrovare la sua più rosea e mite primavera, nelle gambe, nell’anima e nella mente.
Luciana Esposito
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