Aaa cercasi il Napoli disperatamente: come se fosse facile, però, al termine di un’ora e mezza avvolti nella nebbia d’un calcio senza ritmo e senza variazioni, un tran tran monotematico senza slanci, senza lampi, senza idee e senza autorevolezza. Il peggior Napoli dell’era-Benitez (meglio a Roma, persino a Londra e a Torino) è talmente brutto da non poter sembrar vero e la radiografia dell’involuzione così netta rappresenta paradossalmente lo spiraglio per scorgere una luce in fondo al mini-tunnel. La Juventus è lontana eppure è tremendamente vicina, perché i novanta minuti con il Parma ripropongono le difficoltà già mostrate a Torino, quella improvvisa incapacità di saper correre in avanti, quella leziosità nello sviluppo della manovra, persino l’allungamento delle linee che sottrae la capacità di far pressione e concede all’avversario tante, troppe, seconde palle.
Il Napoli formato interno – ma anche quell’esterno – è in un equivoco tattico occultato dalla freschezza del primo periodo e poi impietosamente sottolineato nella pesantezza del tour de force: i numeri hanno un’anima e in quel 4-2-3-1 che Benitez ha potuto assecondare avendo una squadra con le gambe, s’annida invece il tentativo (in fase di possesso) di 4-2-4, un’intraprendenza che genera equivoci e che induce a ritenere intoccabili tanto Mertens quanto Hamsik (ma quello che sta bene), poliedrici interpreti d’uno spartito nelle quali occorrono diagonali di copertura. Il Parma è un concentrato di saggezza ma anche di audacia, si raccoglie e riparte, lascia che sia Cassano (giustamente) a guidarlo con mano, dall’alto d’una ispirazione neoclassica che l’ha trasformato in regista offensivo sublime. Però va cercato il Napoli e anche rapidamente.
FONTE Corriere dello Sport