Allergia ai big match. Scorpacciate di gol, tutti al passivo. Quel 75% in termini di crescita collettiva che sembra cristallizzato, inchiodato al suolo. L’illusione di poter finalmente sgambettare una delle Regine, le loro risate grasse al nostro timido solletico. L’ennesima sconfitta in uno stadio a cinque stelle, l’ultima di un pesante trittico iniziato in campionato, sembra confermare la scia negativa del Napoli nelle gare da bollino rosso e collabora a far girare il solito nastro delle fragilità strutturali e caratteriali di questa squadra.
Ma la serata di Dortmund esige rispetto, non merita una bieca lettura statistica. Innanzitutto una disgraziata cabala, con sbavature arbitrali ed episodi decisivi incredibilmente a nostro sfavore come contro Juventus e Roma. Il resto sono luci ed ombre, 90 minuti pieni di significato. Bisogna vivisezionarne le sfaccettature, le indicazioni per la via maestra sono servite su un piatto d’argento. Non sottovalutare nulla. Lanciare la moneta e attendere che torni giù: è necessario scegliere una delle due facce?
TESTA. Il Napoli al “Signal Iduna Park” c’era. C’era come forse non c’è mai stato prima d’ora in gare così attese. Con la testa, con le gambe, con il cuore. Entrato in campo per giocarsela a viso aperto e senza i proverbiali timori reverenziali. Per di più, beffato da un rigore generosissimo praticamente all’alba, non si è mai fatto annichilire, rispondendo colpo su colpo ad una squadra chiaramente più esperta e dall’eccelso tasso tecnico almeno dal centrocampo in su. Coriaceo, mai domo e a tratti addirittura piacevole. Grandi i meriti di Benitez, sono eloquenti i primi effetti della sua terapia basata su possesso palla e tessitura della manovra. Imporre gioco e non subire le trame avversarie. Concezione d’alto profilo. I fiori germoglieranno. Forse, però, non proprio nel breve periodo.
CROCE. Un ottimo piano va costruito partendo dalle fondamenta. L’idea di Don Rafè è encomiabile, ma il suo calcio, seppur talvolta divertente, manca troppo spesso di solidità. Coerenza e tante rughe conquistate sul campo portano il tecnico a proseguire testardo sulla sua strada, sordo alle ingerenze esterne. Non è condannabile in linea generale, ma ad una minima e umile revisione tutti dobbiamo sempre essere disposti. Inspiegabili battute a vuoto della società in un’estate decisamente proficua hanno lasciato alla difesa azzurra lacune imbarazzanti. A prescindere dal conclamato centrale fantasma, Maggio ed Armero sugli esterni sono evidentemente a disagio in una retroguardia a quattro. Avallare le scelte societarie dopo aver testato questi balbettii già nelle prime amichevoli estive è per Benitez un concorso di colpa. Ora che la frittata è fatta, almeno fino a gennaio, urge tamponare con strategie alternative. Anche perchè i campanelli d’allarme sono stati milioni, troppe le circostanze insidiose concesse anche al San Paolo contro squadre di rango medio-basso come Sassuolo, Atalanta, Catania. Behrami non potrà eternamente correre come Forrest Gump. Callejon, l’unico dei quattro davanti a sacrificarsi, ha un minutaggio elevatissimo ed è normale che stia pagando dazio. Ma c’è poco da fare, non si cambia. Anche se in gare come Torino o sabato contro il Parma il centrocampo soffre maledettamente e gli esterni affannano in copertura, Don Rafè preferisce non snaturare il suo credo tattico. Troppo focalizzati sui meccanismi offensivi e poco sulla fase di non possesso. Emblematico l’utilizzo di Pandev in luogo di Hamsik, come se il macedone potesse assicurare lo stesso lavoro sporco di un Marekiaro finanche appannato. E contro squadre come il Borussia un azzardo simile (in pratica quattro punte) è un mezzo suicidio. A prescindere dall’andamento del match e dalla bravura dei gialloneri nelle ripartenze, fatico a ricordare una partita nella quale il nostro portiere si è trovato a tu per tu con l’attaccante di turno per ben 7-8 volte. Impressionante.
L’ANTIDOTO. Reminiscenze zemaniane, “basta segnare un gol in più degli altri per vincere“. Non è affatto così. In Italia, e non solo, compattezza ed equilibrio sono fondamentali. Non generiamo un equivoco in stile Luis Enrique in quel di Roma. Serve un compromesso tra le varie esigenze. “Bello e possibile”, perchè no? Potrebbe essere lì la svolta della stagione. A Napoli, si sa, non c’è tempo, nessuno sa attendere. Ma se in panchina siede un uomo con dieci trofei nello stomaco tiri un sospiro di sollievo. Benitez può, deve avere l’antidoto. Lui che i tre gol da segnare all’Arsenal ha saputo realizzarli in soli 45′. In una finale. Questo Napoli che balla sulle punte ha tanto da imparare da quel Liverpool rognoso e spigoloso. In certi casi voltandosi indietro si pescano risposte che davanti agli occhi proprio non si trovano. Il passato insegna. Sempre.
Ivan De Vita
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Articolo modificato 28 Nov 2013 - 06:38