“November rain” cantavano i Guns n’Roses, ed un Novembre di pioggia e depressione è calato su questo Napoli smarrito, che ha perso qualcosa o che forse non l’ha mai avuta. Tre partite perse in questo mese maledetto, tre gare che hanno aperto un libro ancora sconosciuto, tre tagli profondi che hanno messo a nudo problemi che già da qualche anno attanagliano questa squadra e la relegano ancora nel limbo delle imperfette, tra quelle compagini che non hanno compiuto il salto definitivo dalla sponda delle squadre di buon livello a quella delle “grandi” del calcio che conta. La sconfitta contro la Juve, un segno indelebile della manifesta inferiorità che però non può essere l’alibi morale per decidere di non giocare per lasciare le armi agli avversari, per giustificare una mancata reazione che evidenzia invece l’amara constatazione di una fragilità caratteriale che tutti pensavano di aver abbandonato con l’avvento di Benitez, ma che invece è tornata al cospetto di un gruppo che ha palesato ancora una volta di non avere i tempi di reazione adeguati contro le grandi squadre.
Diverso lo scivolone casalingo contro il Parma, perché ha invece delineato un altro scenario su cui riflettere, anch’esso spettro di un recente passato che tutti quanti speravano fosse stato esorcizzato da Don Rafè, parliamo della subdola difficoltà a restare concentrati nella gara di campionato quando una sfida Champions si affaccia alle porte. Quando Mazzarri palesava questa difficoltà, tutti erano orientati a ricondurre dichiarazioni come quelle ad una tendenza caratteriale “da provinciale” del tecnico livornese, che non era in grado di trasmettere al gruppo quella necessaria sicurezza nei propri mezzi utile ad accompagnare i ragazzi al di là di un limite, quello del doppio impegno campionato-Champions che è stato l’alibi principale su cui il Napoli si è scagionato dalle colpe negli ultimi tempi.
A Dortmund, è stata forse la gara con maggiori attenuanti, dapprima quella tecnica, contro una squadra che ha uno dei migliori contropiedi al mondo, in grado di mettere in difficoltà in maniera continua ed efficace chiunque, capace di affossare le migliori linee difensive. L’unica obiezione che ci è sorta spontanea è stata su quello scellerato tentativo di contenere l’avversario nonostante si fosse impostato lo scacchiere con una tattica estremamente offensiva, con Higuain, Callejon, Mertens e Pandev in campo contemporaneamente, con il chiaro intento di offendere e non certo limitare il Borussia. Non vogliamo parlare di suicidio tattico poiché il gioco di Benitez segue un criterio basato sul palleggio e sulla ricerca di quegli spazi utili da attaccare alla prima occasione utile, ma partire ad armi tratte pronti per sparare per poi alzare i fucili e difendersi come fossero scudi non ha avuto un gran senso, nonostante il possesso palla di gran lunga superiore ed un momento della gara, quando si era sul 2-1, dove, se si fossero sfruttate meglio le ripartenze, gli azzurri avrebbero davvero messo alle strette i gialloneri.
Tre sconfitte brucianti, tre modi diversi per dire che questa squadra è in una momentanea crisi d’identità, tre fendenti al cuore di una struttura tattica che comincia ad essere minata dalle incertezze di un gruppo che, a questo punto, necessita di qualche altro tassello per ritenersi nuovamente all’altezza degli obiettivi che persegue. “Io non ci sto” non certo sulle sconfitte di cui sopra, ma sulla mancanza, ancora una volta, di quella forza data dalla consapevolezza dei propri mezzi, il vero problema di questo gruppo, un aspetto mentale che porrebbe il Napoli al pari con tutti gli altri avversari, ma che ogni qual volta si affacci un impegno difficile, duro, contro un avversario di spessore, gioca un brutto scherzo agli azzurri, per limitarli e disconoscerli dal titolo di “realtà vincente” per dichiararli “eterni secondi“, aggettivo poco edificante, che fa storcere il naso a tutti gli appassionati napoletani. Una ritrovata capacità di reazione e quella necessaria riscoperta dei propri mezzi, attraverso cui nessuno ostacolo diventa insormontabile, potrebbe essere il giusto detonatore emotivo per spingere la squadra ad alleviare quella pressione che sente inesorabilmente quando si affaccia alle porte un impegno importante, per cancellare quell’ansia da prestazione che ha spesso minato le sorti del risultato. Perdere ci può stare, ma arrendersi prima del tempo e cadere nel gioco dell’alibi morale del complesso d’inferiorità è un errore da non commettere mai più, perché il momento non lo permette, il futuro è adesso, “del doman non v’è certezza“, ricordate? Quale obiettivo? Riprendersi la propria identità, per riconoscere la strada da percorrere ed evitare di essere nuovamente “rimandati a settembre“.
Articolo modificato 29 Nov 2013 - 09:27