Lo scorso lunedì, un grappolo di ore prima che il Napoli valicasse gli spogliatoi dello Stadio Olimpico, per misurarsi contro la Lazio, a Napoli è esplosa l’ennesima granitica bomba di energica e passionale grinta, confezionata a quattro mani, dalla graffiante e carismatica voce di Jovine e quella ritmata e draconiana di Dope One.
“Napl’ sona” è il titolo del singolo: un pezzo di stoffa strappato dal mantello di Parthenope, impreziosito di schegge di innovativa e propositiva napoletanità che omaggiano le loro, le nostre radici ed inneggiano i sogni, quelli che coviamo da bambini e che eternamente dimorano in noi, nell’anima di quel bambino che non cessa mai di vivere nelle stanze più intime e sincere del nostro io.
A loro, a quei bambini prodigio che si divertono a “giocare a mischiare le parole”, “basta solo una parola, una nota” per mettere in moto quel tornado di livorosa ed asseverativa ambizione che sprigiona in maniera tanto semplice quanto sopraffina tutto il loro peculiare ed encomiabile modo di fare arte, esattamente come avviene per quegli scugnizzi che necessitano solo di un pallone o di qualsivoglia oggetto di forma sferica per sfamare l’enfasi che gli brucia dentro e che, irrefrenabilmente, li porta a ricalcare campi di calcio, reali o surreali, quali rettangoli verdi, ricoperti da manto erboso, piuttosto che vicoli e sommessi angoli delle spigolose periferie.
“Napl’ sona” la carica agli azzurri, quindi, contro i biancocelesti, allorquando a salire in cattedra è stato uno scugnizzo di nome Gonzalo, seguito a ruota da un fanciullo gagliardo e stempiato di nome Goran e da un altro ancora, dalla corporatura esile, ma dalla tecnica sopraffina, di nome José.
Napoli vince, ma non convince, perché, in taluni reparti, quel desiderio di conferire lustro ed omaggiare i primordiali e crudi “sogni di bambini” sembra essersi assopito.
Ad onor del vero, ieri sera, al Napoli non bastano le individualità dei suoi pregiati solisti per “suonare” anche contro l’Udinese.
“Napoli non ha suonato, ma ha steccato”.
Perdendo, così, l’ennesima ghiotta occasione per mordere le caviglie alla “Vecchia signora” e mantenere vive le speranze di tutti quei bambini, più o meno cresciuti, che riversano nella maglia azzurra i loro indomabili e più irruenti sogni di gloria.
Piuttosto, una parte di Napoli arranca, sciupa, vanifica, strazia ed elude quanto di buono costruito dall’altra parte di Napoli: nella politica, nella quotidianità, nella musica, nel sociale, nello sport ed anche nel calcio.
A quel Napoli, smarrito e confuso, non resta da fare altro che riavvolgere il nastro, schiacciare il tasto “play” ed attingere la combattività ed il vigore, elementi cardine, indispensabili ed imprescindibili, sui quali ancorare il credo e l’anima di ogni squadra e che al momento risultano assenti ingiustificati, dal mix di note, parole e determinazione partorito da due dei più prodi “sognatori che non hanno mai smesso di sognare”, perché le visceri di due come Jovine e Dope One non sono mai così sazie da dissuaderli nel seguitare a collezionare sacrifici; le loro mani non hanno paura di sporcarsi nuovamente o di accogliere una nuova, più o meno profonda, cicatrice per scalfire l’ennesima “statua” da immolare sull’altare di Parthenope; le loro voci non sono mai sottotono né rauche né assopite, quando si tratta di salire in cattedra per dare forma ed espressione a quella grintosa passione che gli infervora impeto ed anima; ma soprattutto, le abrasioni riportate dopo una caduta, non arrecano mai ferite talmente profonde ed incurabili da non consentirgli di rialzarsi, ancora, per continuare, con ancor più convinta fermezza, a percorrere quel tortuoso ed impervio cammino.
Ed è attraverso le loro voci che “Napl’ Sona” la carica al Napoli:
Luciana Esposito
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