Sono poco meno di mille. Continuano a professarsi i duri e puri del tifo, rivendicando il ripudio di ogni tessera del tifoso (e dunque ogni trasferta in Italia), ma continuando invece a seguire la squadra quando gioca nelle competizioni europee. Facendo una media quasi uno su due ha precedenti di legge, per non parlare dei provvedimenti di Daspo. Sono gli ultrà del Napoli. E tra loro – stando a quanto ha di recente riferito un collaboratore di giustizia ai magistrati della Procura distrettuale antimafia – si nascondono anche i mandanti e gli esecutori materiali della serie di intimidazioni mascherate da rapine commesse ai danni di alcuni calciatori della Società Sportiva Calcio Napoli: così almeno avvenne, e a sostenerlo è il pentito Salvatore Russomagno, quando un giovane armato derubò il centrocampista azzurro Valon Behrami a Chiaia il 21 dicembre del 2012.
Vicende inquietanti che lasciano il campo ad alcuni inquietanti interrogativi. Il Napoli Calcio può considerarsi sotto assedio da parte delle frange più violente della tifoseria ultrà? Esiste un piano, un progetto segreto per condizionare attraverso la commissione di scippi, furti e rapine il rendimento della squadra attualmente terza in classifica? Ed ancora: che ruolo ha, in queste oscure trame, la criminalità organizzata? Per tentare di dare risposte compiute a simili interrogativi è necessario, innanzitutto, conoscere le molte «anime» che compongono la variegata galassia del tifo organizzato napoletano.
La galassia. Nove sigle per due settori dello stadio San Paolo. A Fuorigrotta il tifo ultrà si divide ancora tra le due Curve, sebbene – rispetto ad un passato nemmeno troppo remoto – tra la “A” e la “B” sia stata recentemente siglata una pax che pare destinata a durare. Già, perché fino a pochi anni fa acerrima era la rivalità tra i gruppi, al punto da rendere problematico per i tutori dell’ordine pubblico dentro e fuori lo stadio anche solo il potenziale incontro tra opposte fazioni.
Sei le sigle presenti in Curva A, tre in B. Mentre sono scomparsi – per «autoscioglimento» – almeno due gruppi che pure hanno rappresentato altrettante costole del tifo più intransigente: oggi non esistono più il «Bronx» (che raggruppava decine di ultrà residenti soprattutto nelle zone del Mercato e delle Case Nuove) e nemmeno «Masseria», che coagulava i tifosi organizzati dell’area di Secondigliano. Due sigle, lo vedremo più avanti, delle quali le cronache (e non solo quelle sportive) si sono spesso e a lungo occupate.
Da un’informativa riservata stilata dalla Questura di Napoli oggi la Curva A risulta composta dai seguenti gruppi ultrà: Mastiffs, Vecchi Lions, Rione Sanità, Fossato Flegreo, Gruppo Sud e Brigata Carolina. Questa invece la «geografia» della Curva B: Fedayn, Secco Vive e Ultras 72. C’è tanto, nell’informativa che delinea non solo la composizione, ma anche i leader, i potenziali «offensivi» e le eventuali aderenze degli iscritti a questi gruppi del tifo azzurro organizzato con gli ambienti della criminalità comune e anche con quella organizzata a Napoli. Il Mattino è in grado di sintetizzarne alcuni punti salienti.
I contatti con la camorra. Se si va a guardare la fedina penale degli iscritti a questi gruppi di tifo organizzato il primo elemento che non può non colpire è l’elevatissimo numero di soggetti pregiudicati. Molti per reati comuni, un cospicuo numero per reati di droga, una percentuale anche consistente per reati da stadio. Pochi quelli segnalati come presunti affiliati ai clan della criminalità organizzata, ma attenzione a sottovalutare il dato: perché invece il ruolo della camorra sugli equilibri dell’universo ultrà e le sue eterne mire sul mondo del calcio è sempre molto forte. Basterà ricordare gli episodi che riportano alla inquietante presenza del figlio del boss Salvatore Lo Russo, Antonio, in occasione delle partite di calcio disputate al San Paolo dal Napoli contro il Parma e contro il Catania durante il campionato di serie A 2010-2011.
Il summit. Sulle ingerenze dei clan negli affari del calcio va ricordato anche un episodio che risale ormai a una decina di anni fa, ma che la dice lunga anche sui rapporti tra tifo estremo e criminalità organizzata. Agli atti di un’inchiesta venne acclusa un’informativa della Squadra mobile che ricostruiva un vertice che si sarebbe svolto a tarda notte nell’area di parcheggio interno all’ospedale Cardarelli tra affiliati alle cosche dell’Alleanza di Secondigliano i quali mediarono tra alcune sigle ultrà in quel momento in contrasto tra loro. L’intervento dei boss dell’Alleanza servì a riportare la quiete sugli spalti.
Zone grigie. E oggi? Quali sono i livelli di commistione tra alcune sigle della tifoseria ultrà e la criminalità organizzata a Napoli? Osservando alcune delle sigle che compongono la galassia delle due curve del tifo estremo ricorderemo che alcune inchieste condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli hanno evidenziato aree di commistione evidente, per esempio, tra alcuni pregiudicati iscritti ai Mastiffs con i nuclei criminali «storici» di Forcella (clan Giuliano) e della Sanità (clan Misso); e come, ancora, l’oggi disciolto gruppo della «Masseria» si riportasse agli stessi ambienti della Masseria Cardone (clan Licciardi). Infiltrazioni camorristiche risultano in numerosi atti giudiziari e informative per quel che riguarda poi la Brigata Carolina (clan del Pallonetto e dei Quartieri spagnoli) .
Lo scenario. Ovviamente agli ultrà non piace di essere associati alla camorra. Ma tra le pieghe delle indagini in corso non si esclude un’ipotesi inquietante, confermata al nostro giornale da una fonte investigativa autorevole: quella che a «calmierare» i raid e gli assalti ai calciatori del Napoli, imperversati un anno fa, sia stato proprio l’intervento di personaggi legati alla camorra. Un ordine partito dall’alto avrebbe imposto lo stop ai teppisti travestiti da tifosi. Un fatto è certo: dopo l’episodio capitato a Valon Behrami a pochi giorni dal Natale dell’anno scorso non si sono più verificati furti nelle abitazioni o rapine ai danni dei calciatori del Napoli.
ECCO IL GRAFICO (Fonte: Il Mattino)