Passano gli anni, cambiano le ere, finiscono i cicli, ma si perpetua di continuo una cattiva abitudine, quasi congenita, della SSC Napoli ogni qualvolta una finestra di mercato si affaccia, vuoi che sia gennaio con il mercato di riparazione, vuoi che sia giugno quando si tratta di rinforzare l’intero organico. La nuova proprietà De Laurentiis avrà pur rinfrancato la società con il suo ingresso, con introiti adeguati, idee valide e decise a migliorarsi sempre, una gestione patrimoniale sana e invidiabile.
Ma sembra quasi aver contratto una sindrome dalla quale non riesce proprio a liberarsi quando bisogna acquistare giocatori: stiamo parlando di quella maledetta abitudine di improvvisare in chiave di mercato, senza mai studiare a tavolino con gli addetti ai lavori quali strategie percorrere, cercando di lanciare sin da subito le reti nell’oceano del calcio mondiale, per tirarle su quando è possibile concludere la trattativa, nelle date predisposte, senza girarsi intorno quando il mercato è bello che avviato e le trattative sono difficili, dispendiose e soprattutto condizionate da determinati fattori che inducono a giocare brutti scherzi sul prezzo del cartellino.
Non scopriamo certo l’acqua calda se diciamo che una società attenta e decisa a diventare prestigiosa si fonda su determinati principi fondamentali, uno dei quali è sicuramente la capacità di programmazione, il miglior modo per salvaguardare il futuro della squadra e di quello stesso patrimonio societario che è attualmente il fiore all’occhiello, ma che resta fine a se stesso se lo si gestisce in modo da renderlo la peggiore arma per convincere grandi calciatori ad accettare la causa azzurra. Oggi fare mercato senza aver tracciato delle basi in precedenza vuol dire consentire alle società proprietarie del cartellino dei giocatori di approfittare della necessità degli interessati di dover chiudere l’affare nello stretto giro di pochi giorni per poter alzare la posta e chiedere la luna, ipotesi resa ancor più accreditata quando le voci di corridoio hanno fatto trapelare delle precedenti rinunce e rifiuti ricevuti da altri obiettivi, e allora su col prezzo, con le pretese, con il gioco del rialzo, da parte di presidenti, direttori sportivi e relativi procuratori dei calciatori stessi, senza contare che lo stesso interessato fa di tutto per migliorare la posizione contrattuale precedente, dove percepiva un determinato stipendio e sente il bisogno di “sistemarsi” le tasche nella nuova società in cui andrà a giocare.
L’equazione appena delineata è molto semplice, ma nonostante la facilità di comprensione evidentemente non rientra nei parametri strutturali della società azzurra, che, a quanto pare, preferisce andare a bussare alla porta della squadra dove il calciatore nel mirino gioca per “elemosinare” il consenso, suo e della società, attraverso un’opera di convincimento basata sul principio del potere economico, spesso non sufficiente, poiché subentrano altri fattori altrettanto importanti, quali il blasone degli azzurri al cospetto della squadra che il calciatore interessato andrà a lasciare, l’ingaggio propinato, i diritti di immagine, senza contare gli altri cavilli contrattuali che determinano l’accettazione della proposta d’ingaggio.
E’ possibile mettersi a tavolino e discutere di tutti questi argomenti in un tempo obiettivamente sufficiente a non costringere il calciatore a dover giocoforza fare leva su un lungo “periodo di ambientamento” ? Perché dare un elemento a Benitez a metà gennaio, quando avrà necessariamente bisogno di integrarsi in meccanismi non semplici come quelli che il mister spagnolo normalmente mette in atto nel suo diktat tattico? Per quale arcano motivo non si mette in atto attraverso una chiara linea di mercato la strategia che si vuole perseguire, partendo dal presupposto che, mai come in questo periodo, il Napoli non ha problemi economici?
A queste domande purtroppo possiamo solamente dare risposte ipotizzabili, sulla base di esperienze regresse e facendo fede alla memoria storica che induce a pensare che, in un modo o nell’altro, non si riesce a costruire attraverso questa benedetta programmazione una solida e efficiente modalità di acquisto dei calciatori a cui si è interessati, tenendo a mente anche così si vincono i campionati. “Io non ci sto” con questa gestione improvvisata di un mercato che avrebbe la necessità di migliorare la squadra in modo da dare ancora qualche chance di rimonta su Roma e Juve, mentre la sensazione è quella di voler semplicemente sondare determinate situazioni valide e a buon mercato, per fiutare l’affare e mettere a segno il colpo, dimenticando clamorosamente i principi con i quali bisognerebbe muoversi nello spietato mondo del calciomercato, fatto di procuratori-squali e società interessate a fare cassa a tutti i costi.