Questo non è il brasiliano triste, cresciuto nella favela, che ha cercato fortuna in Italia. Rafael è laureato in Economia a San Paolo, con specializzazione in gestione dello sport, è figlio di due ingegneri, è andato a convivere per la prima volta a 32 anni con Isabella a Verona, dove, da 7 anni, è il portiere dell’Hellas. Sta per diventare il quinto giocatore (il primo straniero) con più presenze in gialloblù: 261, con quella di domani. La sfida col Napoli si arricchisce di un particolare: anche l’altra porta è difesa da un Rafael (Barbosa) che ha 8 anni in meno: «Mi sono portato avanti: ho già la sua maglia, quella del Santos dove abbiamo giocato entrambi. Il Santos è una società che vive nel mito di Pelè. Rafael non lo conosco, ma so che è bravo e abbiamo avuto lo stesso preparatore: Omar Curi».
Chi sono i tre brasiliani più forti e la punta più forte in A?
«Kakà, Robinho e Jorginho. Aspetto Higuain, ma dico Tevez. E’ veloce di cervello sa sempre prima cosa deve fare».
Di Toni cosa ha capito invece?
«Che è un grande uomo. Nelle difficoltà mette la parola giusta, anche in spogliatoio».
Rafael; perché il Verona va così forte?
«Perché sa di dover centrare la salvezza, ma gioca ogni partita come fosse una finale».
Cosa significa essere il quinto calciatore con più presenze?
«Quando sono arrivato l’obiettivo era la B, poi è diventato andare in A col Verona, da dove non voglio andar via. E così vado avanti concentrandomi sul lavoro».
Per questo motivo non si è ancora sposato?
«Esatto. Ora penso al lavoro e non ancora a un figlio. Con Isabella, che ha 23 anni, è la prima convivenza».
Siete 6 brasiliani, come vi regolate col churrasco?
«C’è un ristorante in centro, a volte mangiamo a casa mia o di Jorginho. E’ importante l’abitudine di mettere insieme nel piatto carne, riso e fagioli».
Torniamo al pallone: il mito resta Taffarel?
«Sì, sono cresciuto guardando lui».
Cosa le chiede Mandorlini?
«Vuole una persona che giochi con serenità, che parli molto, che sia ascoltato dal gruppo. E mi ha fatto capire che sono importante».
La parata e la papera che non dimentica?
«Una bella su Paulinho, non mi va giù il pallonetto di Pjanic: ho letto male la situazione».
Lei ha una laurea, se il Verona cresce le chiede di entrare in società?
«Non ci penso, ma dovrò farlo. Sono 7 anni che vedo i miei due volte all’anno e devo confessare che è dura. Mi hanno insegnato che prima bisogna studiare: io l’ho fatto nell’università del presidente del Santos. Penso di averli resi felici».
Fonte: La Gazzetta dello Sport
Articolo modificato 11 Gen 2014 - 10:39