Gli ergastolani vanno a undici vittorie di fila. Due gol e mezzo a partita. Record del girone d’andata virato con 52 punti. I Sangue-oro non mollano. Dopo la batosta di Torino, annunciano i premi scudetto e il primo e unico acquisto del mercato di riparazione. Quel Naingolan ambitissimo da molti. Segnali forti per affermare che l’obbiettivo non si perde di vista. Ci vuole serenità e sicurezza di sé a segnare un gol come quello di Florenzi. Ma soprattutto ci vuole fantasia. E in questo la Roma ha qualcosa in
più rispetto ai Sing-Sing.
Vincere a Verona dà più gusto alla vittoria. Gli storici sogliono fissare la data di nascita del livore fra le due tifoserie al 1983 anno in cui Dirceu passò in azzurro e i Veronesi esposero al Bentegodi l’orrendo lo striscione: “Ora non sei più straniero, Napoli ti ha accolto nel continente nero”. Si continuò così – fra tafferugli e brutti scontri – fino all’incantevole: “Giulietta è una z…”. Vincere a Verona dà più gusto alla vittoria. Se poi segna il napoletano Lorenzino doppio è il gusto. Il gol di Insigne è “La grande bellezza” calcistica. Tutta la squadra si distende magnifica a interpretare la coraggiosa rivoluzione del testardo Benitez. Roba da Oscar più che da Golden Globe.
Tre squadre e poi il nulla. La Fiorentina galleggia per ora a cinque lunghezze ma è più facile prevedere uno scivolamento in basso. Dove al massimo se la vedrà con le nebulose milanesi. La nebbia di Reggio Emilia viene squarciata dal sorprendente poker del diciannovenne Domenico Berardi (di proprietà Sing-Sing) che affonda Allegri. Commuove la timidezza del ragazzo che rifiuta la passerella ai riflettori e ai microfoni del dopo-partita.
Riflettori e microfoni che invece non vede l’ora di attirare su di sé la Patonzetta. La quale esce furibonda dagli spogliatoi dei Decaduti esclamando: “Serata deludente, urgente cambiare: Qui ci vuole il bastone”. Accontentata. Arriverà Seedorf, notoriamente dotatissimo. Vedendo cadere la testa di Allegri, l’altro livornese Mazzarri, dopo lo squallido pari casalingo col Chievo, si porta preoccupato le mani al collo (e magari anche da qualche altra parte) per alcune doverose verifiche di saldezza.
Voleva la grande squadra, l’ambiziosissimo Bellicapelli. Si ritrova in una società farsesca con un presidente che comanda dall’Oriente e che non sgancerà un centesimo. Tanto per cambiare, si cambia anche a Livorno dopo il tonfo col Parma ancora una volta privo di Cassano messo in naftalina, pare in ottica mercato. Tra il vestito di Messi e il taglio di Cristiano Ronaldo sorge il dubbio che il Pallone d’oro sia un riconoscimento per il tamarro dell’anno. E’ passato giusto un anno. Mariangela Melato vive.