Una coppa di Spagna under 19, una coppa d’Inghilterra, una Fa Community Shield, una Supercoppa italiana, due Europa League, una Supercoppa europea, una Champions League, una coppa del mondo per club. Il variopinto palmares internazionale di Rafa Benitez è un timbro indelebile. Un certificato di garanzia. Il mister di trofei se ne intendi. Se poi si tratta di gare ad eliminazione diretta, le sue strategie entrerebbero di diritto nell’università del calcio.
A Napoli la sua fama sta racimolando conferme. L’asso di coppe, tra mille perplessità, ha diretto con notevole autorità la sinfonia azzurra in Champions, estraendola dalle fauci di un girone proibitivo con ben 12 punti. Inutili a livello statistico ma che incidono pesantemente sul processo di maturazione di un collettivo. Atteggiamento propositivo e a trazione anteriore. Modulo a quattro punte mai rammendato, malgrado le mille accuse di eccessiva spregiudicatezza.
“I campionati si vincono grazie al potere del fatturato e di conseguenza alle rose più ampie – ha punzecchiato ieri lo spagnolo – Nelle coppe, invece, è diverso. Si può vincere grazie alla tattica e alla mentalità“. Proprio quest’ultimo fattore è parso eloquente leggendo le formazioni di Napoli-Atalanta di ieri sera. Ben sei undicesimi della squadra scesa in campo al Bentegodi di Verona sono stati riproposti nell’ottavo di finale di una competizione ormai alquanto sbiadita. Che, al contrario, andrebbe onorata, in quanto rappresenta un trofeo da aggiungere in bacheca, nonchè l’accesso alla Supercoppa italiana e ai gironi di Europa League. Allora niente turnover massiccio., con le chicche Albiol e Callejon in campo dal principio. Tanti i minuti nelle gambe dei due iberici, ma indispensabili per reggere l’equilibrio dell’intero impianto a dispetto dei cambi. Non si vuole lasciare nulla di intentato. In altri termini, allenarsi a vincere è il miglior integratore naturale.
“Tram a muro” ha replicato Don Rafè a chi dagli studi Rai lo invitava ad esternare i suoi progressi con il napoletano. Dialetto epico e viscerale, ci inchiniamo davanti a chi gli ha insegnato questo termine. Ma proprio l’ascensore è la sintesi emblematica del suo Napoli. Rinnovamento e costante arrampicata verso i piani alti, costretto troppo spesso a sopportare il peso sproporzionato di futili chiacchiere da bar. E, come accade nei migliori condomini, si blocca sempre quando si è di fretta. Sul più bello. E si può solo urlare invocando aiuto. “Ci saranno di sicuro due rinforzi nella prossima settimana” è stato il messaggio lanciato da Benitez dalla cabina del San Paolo nel dopo-gara.
Dall’altra parte, a raccogliere l’ancorchè pacato sos, c’è Aurelio De Laurentiis. Re di denari e di proclami. Troppi. Inopportuni. Sarebbe da apocalittici criticare le sue scelte proprio quest’anno, dopo la faraonica restaurazione estiva e i frutti germogliati davanti a tanta diffidenza (Mertens e Callejon su tutti). Ma che bastava un centesimo per raggiungere la fantomatica lira se n’era accorto chiunque. E sbandierare ai quattro venti i propri possedimenti non è stata certo una genialata. 124 milioni cash da investire in estate, 50 quelli da poter spendere a gennaio. Cifre da capogiro. Così gli altri club si sfregano le mani in attesa del pollastro in salsa partenopea e l’intera piazza, già esigente per antonomasia, diviene incandescente. il severo striscione “Un altro tesoretto finito nel cassetto” esposto in settimana al San Paolo durante l’allenamento a porte aperte è una dura ma comprensibile conseguenza.
Ieri poi anche il mister ci ha messo la faccia come mai accaduto finora, auspicando rinforzi immediati. L’asso di coppe e il re di denari sono figure nobili ma difficilmente di successo se agiscono in autonomia. C’è bisogno di sinergia. Il tavolo, in fibrillazione, attende la prossima carta.
Ivan De Vita
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