Alzi la mano chi non gliene avrebbe dette volentieri quattro al Sig.Yepes mercoledì sera, dopo che gli arbitri hanno giustamente convalidato la presunta rete da annullare agli azzurri nel match di coppa Italia contro l’Atalanta. In uno scenario di isteria collettiva che si è scatenato subito dopo il gol, si è avuta l’impressione che nessuno dei calciatori nerazzurri presenti avesse saputo delle modifiche, o quanto meno fosse stato messo al corrente del nuovo regolamento che definisce chiaramente che un tocco, seppur sbagliato come lo è stato quello di Del Grosso, mette in gioco l’avversario, oltretutto la posizione di Higuain era anche ininfluente, per cui le contestazioni al limite della decenza di buona parte della squadra orobica sono del tutto infondate e prive di qualsivoglia appiglio. Ma ciò che ne scaturisce è, come sempre, la solita, grande figuraccia. E a farlo non è solo la squadra dell’Atalanta, già, perché per quanto riguarda l’aspetto della professionalità si mette ancora una volta in risalto l’inettitudine di buona parte degli addetti ai lavori nel nostro campionato, spesso preoccupati più per ciò che riguarda argomenti che richiamano l’aspetto puramente economico che non per un qualcosa che dovrebbe quasi essere scontato, un nuovo aspetto del regolamento di ciò che riguarda il proprio lavoro.
E gli echi del calcio, ahinoi, si rispecchiano in quelli di una società deficitaria, abituata a campare di rendita, in uno spaccato di superficialità e insolenza che fa rabbia, ma soprattutto fa riflettere quando ci poniamo al cospetto delle realtà oltreconfine, e non per fare il solito noioso monito al modello inglese, ma bisogna fare mea culpa quando, nell’osservare i match di Premier League atteggiamenti come quello di Yepes e compagnia cantante se li sognano, anzitutto per il rispetto verso la decisione arbitrale, condivisibile o meno, ma poi si fa sempre e comunque appello al “self control”, alla capacità di contenersi e di mostrare il proprio malcontento con modi e tempi adeguati, senza andare mai al dì sopra delle righe, senza fare leva su comportamenti minacciosi, al limite della rissa, trattenendo con difficoltà le reazioni scomposte che appartengono ad altri palcoscenici. Bisogna essere obiettivi e riconoscere che abbiamo grosse lacune sotto questo aspetto e l’approccio con nuove frontiere del calcio mondiale non deve fare altro che accrescere lo spessore critico a cui bisogna fare fede per migliorarsi e sperare di migliorare chi, in tenera età, si affaccia a questo sport con la speranza di esserne parte integrante per il futuro, un modo come un altro per sviluppare la capacità di mettersi in discussione, e mettere in discussione le modalità di approccio e lo spirito con cui si affronta il gioco, che è sport ma è pur sempre un lavoro per i calciatori professionisti pagati fior di miioni.
No, “io non ci sto” con l’episodio della contestazione al gol del Napoli erroneamente definito irregolare, perché è parte integrante del modo, oramai standardizzato, di fare calcio, ma che è tristemente estendibile alla vita di tutti i giorni dell’italiano medio, convinto conoscitore di ciò che lo circonda e mai capace di mettersi in discussione, di aggiornarsi e di portarsi al passo coi tempi in un frangente che lo riguarda da vicino. E’ possibile cancellare questi brutti esempi dal manuale italico del calcio giocato? La speranza, come sempre, è l’ultima a morire, e noi ci faremo fautori di questo spirito di autocritica, che è spesso il liet motiv degli argomenti trattati in questa rubrica, sostanzialmente forgiata sulle storture della settimana calcistica che volge al termine. Non che ci aspettiamo di vedere gli uomini di Colantuono con i manuali delle regole del calcio aggiornate, ma che si possa fare una adeguata campagna di informazione affinché si possano divulgare in maniera esaudiente le modifiche ad un concetto di vitale importanza per chi prende parte a questo gioco e deve dimostrare a tutti, giovani in primis, l’importanza di conoscere ciò per cui si viene pagati, evitando così polemiche verso una classe arbitrale come quella italiana, già martoriata per altri fattori, in alcuni casi condivisibili, in molti altri esasperati per ricavare anche dagli errori quello spettacolo che oggi, soltanto il gioco del calcio, non è più in grado di assicurare.