Se l’Italia aderisce alla religione calcio, non fa altrettanto con l’elevazione dei suoi templi. Mentre mezza Europa edifica stadi nuovi di zecca, a volte grazie al finanziamento di partner privati, altre volte con l’aiuto di società che diventano proprietarie degli impianti, oppure con l’ausilio del danaro pubblico, attraverso investimenti che rientrano in piani di ristrutturazione urbana, nello specifico impiegate nell’ambito di ammodernamenti utili allo svolgimento delle manifestazioni sportive, l’Italia fa ancora affidamento allo stadio “d’epoca”.
Mentre gli altri paesi europei possono contare sull’utilizzo di impianti che prevedono anche moderne reti di collegamento per il raggiungimento degli stadi, in Italia il calcio della massima serie si gioca ancora in strutture risalenti al ventennio fascista, vedere il Dall’Ara di Bologna, oppure in stadi costruiti molti anni fa, decenni e decenni fa, come il San Paolo di Napoli, il Meazza di Milano, che fanno da contraltare al tentativo di competizione annunciata dalla politica sportiva italiana, rispetto a Germania, Spagna, Inghilterra o Portogallo.
Squadre come il Benfica e il Porto, che militano nel campionato di un paese che economicamente non è superiore all’Italia, dispongono di strutture moderne e facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici, bene inquadrati nella tradizione attuale dell’impiantistica sportiva che vuole gli stadi come luogo di opportunità economica, oltre che sportiva. Sugli stadi tedeschi e inglesi, inutile soffermarsi. Sono di un’altra dimensione.
In Italia soltanto la Juventus è riuscita a dotarsi di uno stadio competitivo. Lo Juventus Stadium, oltre che essere di proprietà della società bianconera, rappresenta il primo tentativo di business attraverso l’impianto sportivo in Italia, un paese dove stadi come quelli di Siena, Padova, Piacenza, Reggio Calabria, per citarne alcuni di città dove le rispettive squadre hanno militato nella massima serie, questi impianti lamentano grandi disagi strutturali, oltre che disservizi ed evidenti mancanze sui fondamentali dell’impianto. Luci, posti a sedere, uscite di sicurezza, sistemi di entrata e di uscita, le condizioni degli spalti, sono l’esempio contrario della dignità di un impianto.
Per non parlare di stadi dove giocano squadre di livello internazionale. Il San Paolo, ridotto sempre peggio, ospita gare di competizioni UEFA, oltre che una squadra che oggi è tra le più in vista del panorama nazionale. L’Olimpico di Roma presenta molti ritardi rispetto a strutture di altre capitali europee. Il Sant’Elia di Cagliari è uno dei modelli peggiori di gestione. Oltre che inagibile, lo stadio ha subito modifiche e cambiamenti che ne hanno soltanto ridotto l’utilizzo.
L’ultimo intervento nazionale risale ai mondiali disputati in Italia nel 1990. 24 anni di incurie e di abbandono, senza contare che gli interventi effettuati a suo tempo in alcune strutture, hanno causato più danni che benefici. Il San Paolo di Napoli è un esempio. L’area circostante ha subito lavori di “abbellimento”, in occasione del mundial, che sono rivelati autentici scempi edilizi, oltre che essere passati alla cronaca come cause di avvicendamenti di inchieste giudiziarie per appalti illeciti.
Un altro elemento poco incoraggiante è rappresentato dal fatto che molti impianti non riescono a resistere alle intemperie invernali. A ogni acquazzone, a ogni nevicata, si rischia la sospensione o il rinvio di una partita. Un articolo del Sole 24 ore, datato novembre 2013, denuncia alcuni punti deboli rispetto al discorso sul problema stadi in Italia. La politica non riesce ad affrontare la questione da un punto di vista costruttivo e intelligente, perché non sa come riuscire a trovare le giuste soluzioni per le possibilità di investimento, di progettazione, in accordo con le parti che pretendono la dovuta attenzione ambientale, che, si sa, in Italia rappresenta un rischio ogni volta che si pianifica e si esegue un’opera pubblica, sia essa proveniente da pianificazioni pubbliche o private.
Intanto, la fatiscenza degli impianti provoca lo svuotamento e la disaffezione, soprattutto se il fenomeno trova ulteriore incremento causato dai facili accessi televisivi. L’arretratezza strutturale, è di facile intuizione, conduce all’indebolimento degli introiti e alla desertificazione di quello che è il “figurante” privilegiato del gioco del calcio, il pubblico.
Sebastiano Di Paolo
Articolo modificato 23 Gen 2014 - 18:00