Buenos Aires. Classe 1957, Jorge Higuain, padre e “consigliere” di Gonzalo, attende seduto a un tavolo dello Sport Club Belgrano in compagnia di alcuni amici. È questa la sua prima intervista sul Pipita napoletano.
Nel 1987 il Napoli vince il primo scudetto e in quell’anno nasce Gonzalo. Un segno del destino?
«Sono coincidenze suggestive che alimentano aspettative importanti. Napoli è qualcosa di speciale per gli argentini da quando vi ha giocato Maradona, il simbolo del nostro sport, che vi ha lasciato una traccia importante. Quando ho passeggiato per il centro antico ho visto anche l’altare dedicato a Diego».
Già conosceva Napoli prima di visitarla?
«Da lontano, ovviamente, ma era come se l’avessi già conosciuta. Tutti noi argentini simpatizzavamo per il Napoli grazie a Maradona. A volte ho parlato con Gonzalo della scelta di Diego di cambiare squadra passando dal Barcellona a Napoli. Non era facile eppure lo ha fatto e ha reso grande la squadra riuscendo a vincere ciò che tutti sanno. Le grandi squadre hanno una storia già scritta. Maradona, invece, ha scritto di suo pugno quella del Napoli».
Perché il Napoli è grande?
«Perché ha una grandissima tifoseria ed è riuscito a rialzarsi dopo tante disavventure e dopo essere stato in serie C. È tornato ai vertici del calcio italiano e ha fatto una bellissima figura in Champions League. Nonostante non sia ancora alla pari della Juve ha un progetto nuovo che darà i suoi frutti».
Chi ha fatto il primo passo nella trattativa?
«È stato Rafa (Benitez, ndr) a chiamare Gonzalo proponendogli il progetto. Poi lo stesso De Laurentiis».
Come comunicava con De Laurentiis?
«In un misto tra francese e italiano. Poi la lingua del calcio è universale. Gonzalo è contento della sua scelta. E se è contento lui, tutta la sua famiglia lo è».
L’accoglienza a Roma è stata trionfale…
«Mi ha colpito tanto affetto senza che Gonzalo avesse giocato neanche una partita».
Sa che Lavezzi doveva fare shopping di notte per non essere visto?
«Sì, sono a conoscenza anche di quello che ha vissuto Maradona, che veniva scortato dalla polizia per andare all’allenamento. Queste cose non succedono neanche qui in Argentina…».
Fu Maradona a puntare su Higuain in nazionale.
«Siamo molto grati a Diego che lo ha convocato dandogli il posto da centravanti titolare in un momento difficile per l’Argentina, che si qualificò al Mondiale del 2010 solo nel rush finale».
Parliamo di papà Higuain. Si è ritirato dal calcio nel 1993: all’epoca Gonzalo giocava?
«In Argentina si gioca molto al baby futbol, ossia un calcetto indoor per bambini principianti. Gonzalo iniziò nel Club Palermo e già da piccolo sembrava un predestinato».
Giocavate insieme?
«Dietro casa, nel quartiere di Belgrano a Buenos Aires. C’era un terreno che in Argentina si chiama “potrero”, il classico campo arrangiato per dare due calci al pallone, dove le porte erano due sedie. Da un lato giocavano Nicolas e Federico, i più grandi, dall’altro io e Gonzalo. Vicino c’era la veranda dove ci riunivamo per fare l’asado: un giorno mia moglie, stanca delle continue pallonate che rischiavano di romperla, decise che non si sarebbe più giocato e fece installare una piscina».
Fu da quel momento che i suoi figli iniziarono a giocare sul serio per poi approdare alle giovanili del River?
«Sì. Cominciò tutto quando José Curti, ex calciatore e allora osservatore del River, mi fermò per strada e mi chiese: “Pipa, quando mi porti i tuoi figli? So che giocano molto bene”. Gli risposi che glieli avrei portati a patto che non ci fosse stato nessun favoritismo».
Più calore a Madrid o a Napoli?
«Non c’è paragone. La passione del tifoso napoletano è speciale. Non ho mai visto in nessun altro stadio dedicare dei cori a un giocatore come succede al San Paolo». Quanto tempo ci ha messo Gonzalo ad accettare l’offerta del Napoli? «Pochissimo. C’era anche la possibilità di finire all’Arsenal o alla Juve, ma dopo aver parlato con Benitez e De Laurentiis ha accettato subito l’offerta anche grazie ai buoni “uffici” di Lavezzi».
Gonzalo era alla ricerca di una nuova sfida.
«Assolutamente. Dopo essere stato molti anni nello stesso club aveva bisogno di mettersi in gioco nel campionato italiano, un torneo molto competitivo e difficile per un attaccante».
Come valuta il progetto Napoli?
«Quello del Napoli è un progetto ambizioso, con un allenatore e giocatori nuovi. La squadra è stata ingiustamente eliminata dalla Champions, tuttavia sta lavorando bene».
Le è capitato di vivere qualche manifestazione di affetto particolarmente calda a Napoli?
«Una volta eravamo a cena con altri giocatori e all’uscita ci siamo ritrovati tantissime persone ad aspettarci. Siamo riusciti a dileguarci solo dopo tante foto e autografi».
Un prezzo alto da pagare per una celebrità come Gonzalo?
«Non credo. Anch’io sono stato calciatore e ho vissuto situazioni simili. A mio figlio ho detto di guardare anche l’altra faccia della medaglia: il tifoso che viene a cercare l’autografo è lo stesso che va allo stadio a incoraggiare la squadra. Quello che spende per andare allo stadio potrebbe usarlo per comprare una maglietta o delle scarpe al figlio, per fare un regalo a un parente. Il tifoso si sacrifica per andare a sostenere la squadra allo stadio ed è giusto che i giocatori ricambino il loro affetto con un autografo o una foto».
Calcio a parte, cosa ricorda in particolare di Napoli?
«Buenos Aires. L’atmosfera è simile. E mozzarella e pizza mi fanno impazzire».
FONTE Il Mattino