La “mala educacion” napoletana che mette a nudo i limiti di una tifoseria

Per gentile concessione dell’alto numero di calciatori e staff spagnoli presenti nel team azzurro, ci siamo presi il lusso di rubare un titolo di un film del grande regista Almodovar, scomodato non a caso per identificare come si conviene una problematica assai spinosa che spesso viene messa in disparte, camuffata da giullare quando le cose vanno di lusso, la squadra vince ed i risultati sorridono agli azzurri, improvvisamente però viene capovolta fino a diventare la più terribile delle maschere horror che si possano conoscere quando qualche buca sul cammino mette in bilico un progetto e la società naviga nel buio fino agli ultimi giorni di mercato, come, ahinoi, sta capitando in questa finestra di fine gennaio. Come in tutte le storie che avvolgono la città di Napoli, siamo nel bel mezzo di uno dei luoghi comuni più leggendari di questa stirpe, parliamo cioè della mancanza di mezzi termini che classifica il popolo partenopeo come uno dei più lunatici che la storia dell’umanità possa annoverare, capace di sbalzi umorali spaventosi, in grado di passare da uno stato di euforia puro ad un eccessivo degrado pessimistico che spinge ad inscenare proteste ai limiti della comprensione e spropositate quando si tratta di utilizzare un vocabolario ed un garbo ortodosso.

Siamo in balia di una parte di pubblico che possiamo definire “gli scontenti cronici”, quelli che si nascondono e che al primo passo falso spuntano fuori come funghi per darci dentro con volgari rime baciate e striscioni classificabili tra uno humor fuori luogo e un’ironia spicciola capace di spazientire più che mobilitare il capro espiatorio della protesta. Siamo di fronte all’ennesimo eccesso di una tifoseria che non ha ancora imparato la lezione nonostante gli ultimi anni siano stati forgiati da una spiccata propensione verso l’alto, con poche vittoria nel palmares, d’accordo, ma pur sempre con una parabola ascendente proiettata a migliorare ulteriormente lo stato attuale delle cose, che parla di una società florida, ricca di buoni propositi, sempre in attivo coi bilanci e volta a rafforzarsi con elementi di qualità e possibili calciatori di uno step più alto rispetto al recente passato, quando lo standard azzurro era relegato nei meandri di una mediocrità che faceva sperare ben poco per il futuro.

E’ chiaro che il blasone aumenta anche le esigenze di una platea che è stata sempre abituata a sognare in grande, ma la mancanza di freni inibitori quando si tratta di organizzare una protesta, una contestazione, quando cioè si vuole manifestare il dissenso per una mancata operazione di mercato, una promessa non mantenuta, una cattiva prestazione di un proprio beniamino, si cade puntualmente in una inqualificabile tendenza ad andare oltre una normale insofferenza, troppo spesso così ci si avvicina ai confini dell’imponderabile, dell’incomprensibile, del cattivo gusto misto ad una indelicatezza che fa riflettere. Guai a pensare di voler censurare una protesta, il tifoso ha come primo diritto quello di esternare i propri sentimenti, di qualsiasi natura essi trattino, ma da qui a spingersi verso l’inettitudine di una frase, di un aggettivo, di un modo inqualificabile di gestire il proprio dissenso conferisce all’iniziativa il peggior biglietto da visita possibile, quello che delinea sui binari sbagliati una contestazione che potrebbe anche starci, ma perché portarla all’estremo con offese gratuite e passi falsi dovuti ad una tempistica inadeguata? In quest’ultimo passaggio vogliamo approfondire meglio cioè che appartiene alla rubrica “Io no ci sto” di questa settimana, stiamo cercando cioè di spiegare nel modo più adeguato è possibile l’uscita di cattivo gusto dei tifosi partenopei, soprattutto fuori logica perché scaturita da una cattiva gestione dei tempi.

Che senso ha mandare a quel paese il proprio presidente a poche ore dalla chiusura del mercato di riparazione? Che senso ha fischiare uno dei simboli della nuova era calcistica partenopea (Insigne ndr) quando fino a qualche domenica prima metteva a segno il gol della sicura vittoria in quel di Verona, terra arida per il napoletano medio e quindi mai rete fu più carica di significato per la causa azzurra? Cercare di comprendere la sofisticata mente, quasi diabolica, di questa frangia di tifosi “maleducati ed intransigenti” sembra ardua impresa, ma ci riserviamo di scoprirne di più tra qualche giorno, quando il mercato avrà dato i suoi frutti e la protesta si sposterà sulla inadeguatezza dei calciatori acquistati. Scommettiamo?

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