La Napoli del pallone si sta votando al peggiore dei provincialismi. La squadra avrà mille difetti, la società avrà commesso i suoi errori, così come Benitez sta portando all’esasperazione la fedeltà alla sua linea tattica, ma nel marasma dei contro, buona regola vorrebbe che si parlasse dei pro, che, in questo caso, più che alibi da giustifica scolastica, hanno un sapore più amaro della sconfitta. La parte peggiore, forse, la sta facendo una frazione della tifoseria, grande o piccola non si è ancora capito, allineandosi a certe manifestazioni di affetto che stonano tanto quanto suonano eccessive certe critiche.
Magari, provando a scegliere nei dettagli, bisognerebbe ricordare che il Napoli da ottobre a oggi ha sempre dovuto fare a meno di cinque o sei titolari, rinunciando, in ordine sparso, a Zuniga, Mesto, Behrami, Higuain, Hamsik e Reina. Da mesi sta giocando senza terzini, e vale la pena ricordare a tanti scienziati del calcio che il centrocampo del Napoli fa a meno del suo mediano più importante da tante giornate, e che Inler, che di pecche sulla coscienza ne avrà pure parecchie, ha dovuto fare a meno di Behrami e di Hamsik, giocando quasi tutte le partite, e dialogando con quello che era partito come ultima scelta, senza il supporto dei terzini e coi centrali in affanno, perché il centrocampo del Napoli non è una cosa a due, ma è formato da un meccanismo un po’ più complicato, con i due cursori a fare la fase offensiva e quella difensiva, con la necessità che vengano supportati dai terzini, coi due mediani, appunto, a chiudere una linea che non è a due, ma cinque.
Come vedreste la Juventus senza Vidal, Pogba, Lichtsteiner e Asamoah? E come vedreste la Roma senza Gervinho, Totti, Pjanic, De Rossi e Maicon? Senza Totti e Gervinho, stiamo parlando solo di due giocatori, la Roma con Cagliari, Chievo, Sassuolo e Atalanta ha collezionato 4 punti, gli stessi che il Napoli ha fatto con Sassuolo, Udinese, Cagliari, Chievo e Atalanta senza almeno tre o quattro uomini chiave.
Il Napoli al completo, nonostante i limiti della sua rosa, era in piena lotta scudetto, ha impartito lezioni di calcio a Borussia e Arsenal e ha vinto a San Siro e a Firenze. La stessa formazione che a Bergamo ha perso, a Genova aveva vinto, come gli stessi uomini utilizzati in assenza di Higuain, avevano battuto il Livorno. A Bergamo è arrivata una squadra con la coperta corta, troppo corta pure per uno come Benitez, che per molti sembra essere diventato un incapace, che, ammettiamolo, con la squadra al completo aveva costruito un Napoli di un altro livello, così come, senza tanti giocatori, è riuscito a reggere un terzo posto che in queste condizioni è il massimo risultato possibile.
In vista di Roma in Coppa Italia, Milan, Europa league e otto gare in un mese, una partita ogni tre giorni, avreste fatto giocare Higuain dal primo minuto a Bergamo, da diffidato, in una partita ad alto rischio provocazioni dopo i precedenti di campionato e Coppa Italia? L’unica leggerezza, e Benitez in questo merita tutte le critiche, è stata quella di lasciare in panchina Jorginho e di non aver schierato Hamsik e Insigne per far rifiatare uno tra Callejon e Mertens. Ma a prescindere dalle scelte del reparto offensivo, c’è chi crede che quel Napoli visto domenica, rabberciato alla bell’e meglio, avrebbe potuto reggere 90 minuti? Senza terzini – Maggio e Revelliere fanno numero, e Benitez lo sa – con una mediana che non doveva essere quella titolare, di fatto senza 4 giocatori, il Napoli avrebbe vinto la partita? Non si erano già visti gli stessi limiti delle partite con Bologna e Chievo? Il Napoli in questo momento, se Hamsik non riprende la forma sufficiente, se Behrami non fa ritorno in mediana, se Ghoulam non rassicura Benitez per la fascia sinistra, è una squadra che dovrà fare sempre i conti con dei limiti troppo difficili da oltrepassare. Senza contare che ancora non si conoscono i tempi di recupero di Zuniga e di Mesto.
La società? Andava rimproverata a settembre, non adesso. A settembre soltanto i più lungimiranti hanno avvisato che al Napoli mancavano le alternative per affrontare gli stress della stagione. A Gennaio si fanno pochi affari, ed è già qualcosa che il Napoli sia riuscito a prendere Jorginho, aspettando di verificare Henrique e Ghoulam. De Laurentiis e Bigon non sono esenti da responsabilità, ma non bisogna neanche dimenticare che il Napoli in questa stagione ha investito molto dei suoi introiti, portando in un colpo solo calciatori che a Napoli non si erano mai visti dopo l’era Maradona. Pensare di voler rifondare in pochi mesi un impianto basato su una maniera diversa di concepire il calcio è da folli, come è da folli pretendere che tutto funzioni alla perfezione in poco tempo, con ancora vecchie scorie da smaltire e con una serie sfortunata di infortuni, tutti da trauma, e non muscolari.
Non è sindrome da tifo, nemmeno ottimismo. Soltanto un tentativo di guardare le cose con più serenità. Nei risultati sportivi pure il dramma pretende le dovute proporzioni. Forse quella napoletana è una piazza che non vuole il calcio giocato, che non vuole l’attenzione alla qualità, ma desidera solo la spinta emotiva che fa di ogni partita una “finale” – quante volte lo abbiamo sentito dire -. Così si resta di sicuro a ridosso delle prime, magari sentendosi pure più contenti.
Probabilmente è quello che Benitez percepisce, che la sua permissività, il suo rapporto serio col calcio a Napoli non può funzionare. In realtà, forse, questa dovrebbe essere la cosa più preoccupante. Preoccupante, sì, perché uno come Benitez, punzecchiato da chiunque nell’ambiente che non riesce a fare a meno degli elementi rissosi della polemica – vedere Ferguson, Mourinho e Materazzi – in una realtà come quella di Napoli, che non mi pare abituata a vincere e a stravincere, avrebbe tutto il diritto di farsi qualche domanda, pur mantenendo il livello di pazienza che un privilegiato come lui ha il dovere di mantenere. Ma in fondo, dove sono capitato? Sto in una squadra con una storia che non riesce nemmeno lontanamente a competere col mio palmares. Sto in una realtà che fino a qualche anno fa applaudiva calciatori di serie C, mentre adesso non sembra che aspettare l’occasione per fischiare ventiduenni da nazionale, che una volta affollava lo stadio per incitare una squadra che annoverava davvero gli scarti presi in prestito da società di zona retrocessione, che faceva i conti con il timore che ogni anno fosse l’ultimo, e che era abituata a prenderle di santa ragione quando giocava pure nei campi di provincia.
Una parte della tifoseria napoletana ha preferito salutare con tutti gli onori uno dei calciatori più scadenti degli ultimi vent’anni, messo lì a lungo a prendersi critiche che adesso sembrano tutti aver dimenticato. Chi ha sottolineato che ci sono calciatori che non hanno il coraggio di dire quello che pensano? Perché nessuno ha detto che questi calciatori “grandi capitani”, che se ne stanno in panchina in silenzio e quando vanno in campo ne combinano di tutti i colori, invece preferiscono mandarle a dire attraverso i procuratori, che fanno il giro del web e delle trasmissioni per muovere critiche agli allenatori solo per partito preso? Piuttosto che cercare il vittimismo a tutti i costi, un vero capitano avrebbe fatto il capitano anche dalla panchina, anche in disaccordo con le idee dell’allenatore. Lo ha fatto uno che si chiama Del Piero.
La Napoli del pallone ha ancora molte cose da imparare. Una parte della sua tifoseria ha ancora molto da imparare, come ha molto da imparare pure chi scrive, nessuno esente. L’applauso e la contestazione sono due cose che nel calcio vanno sempre a braccetto. Se scadono le dosi, si rasenta la follia. Lo ha detto proprio Benitez, che “il calcio è prima di tutto un’esperienza di psicologia collettiva”. In effetti ha ragione.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka
Articolo modificato 4 Feb 2014 - 19:23