Profili azzurri: Emanuele Del Vecchio

untitledDi brasiliani bravi e tecnici ce ne sono stati tanti in Italia, senza dubbio possiamo annoverare nelle fila delle squadre del nostro campionato numerosi esempi di calciatori dall’estro innato e dalle capacità balistiche tali da evidenziare sempre con lo stesso margine le differenze sostanziali tra il calcio sudamericano e quello italiano. Sicuramente a cadere nella trappola del “brasiliano d’oro” fu il comandante Lauro, ammaliato dalle gesta del campioncino in erba già dai tempi del Santos, dove mise a segno 105 reti, e dopo la sua partenza a sostituirlo fu inserito un giocatore sedicenne dalle grandi speranze, Pelè.

Dopo la riprova che il calciatore fosse ciò che si sperava, cioè il bomber da affiancare a Vinicio, grazie alla stagione in terra scaligera, servirono novanta milioni per assicurarsi le prestazioni del futuro piede d’oro del calcio italiano, che sboccerà al fianco di un altro campione infinito, quel Vinicio idolo della piazza e futuro condottiero anche nelle vesti di allenatore. A Verona 27 presenze e 13 reti aprirono le porte di Napoli assieme a quelle dell’ambizione, e l’approdo all’ombra del Vesuvio fu salutato come l’ennesimo scalino in grado di avvicinare la squadra al tanto agognato scudetto. Ma come ogni bella favola, dietro ad essa si nascondono le incertezze, che mestamente cominciarono a venir fuori con le prime gare, nonostante Del Vecchio fosse realmente un finissimo giocoliere in grado di poter cambiare le sorti delle partite se avesse voluto.

Del_VecchioPurtroppo a farla da padrone furono i limiti caratteriali del ragazzo, irascibile e quanto mai rissoso con i compagni di squadra e con tutti quelli che si intromettevano nella sua vita, tant’è vero che non si contarono le volte in cui attaccò briga e alimentò risse conclusesi anche con qualche scazzottata. Famosa la lite con l’allora mister Amadei, che dopo l’ennesima zuffa riferì alla società di scrivere due righe in cui si richiamava all’ordine il calciatore, esortandolo ad essere più disciplinato nei confronti dei suoi compagni. Ma oltre all’irrefrenabile irascibilità, era anche avvezzo a qualche vizio di troppo, spesso bizzarro, altre volte semplicemente questione di abitudini, come la leggenda che lo vuole protagonista di una fobia assurda verso il forte vento, che di notte lo faceva balzare e tenere sveglio fino all’indomani, faccenda che spesso lo costringeva a svegliare la moglie, alla quale costringeva a lunghe passeggiate notturne in cerca di uno svago capace di fargli dimenticare la paura. Qualcuno racconta anche dei suoi rifiuti verso gli alloggi che la società gli aveva assegnato, l’uno troppo piccolo piuttosto che l’altro troppo dispersivo, l’altro ancora caotico a dispetto di un altro fin troppo fuori mano.

Insomma una “caratterino” niente male ai limiti della gestibilità, almeno valesse la pena sopportare le sue manie, in campo invece, dopo aver accettato malvolentieri di prendere la maglia n°11, anziché la n°9 che Vinicio non mollò, nella prima stagione concluse l’annata con 13 gol all’attivo, non male, ma soprattutto reti non decisive e fini a se stesse, che non diedero al Napoli l’importanza che Achille Lauro cercava invano. L’anno successivo 10 gol non bastarono a riconfermarlo come nuovo bomber azzurro, nonostante gli fu data la possibilità di riscattarsi la stagione seguente, dove con appena 4 gol confermò di non essere all’altezza della piazza partenopea e fu ceduto al Padova, realtà che forse avrebbe meglio stimolato le capacità fino ad allora inespresse, ma anche in terra veneta fu un fallimento, ed allora il Milan gli diede l’ultima, vana possibilità, nuovamente non sfruttata, e allora fu chiara a tutti la necessità di rimandarlo al mittente, in Argentina, dove dopo alcune esperienze con diverse maglie chiuse la carriera con il Clube Atlético Paranaense. 68 gare e 27 gol in maglia azzurra per il brasiliano di Sao Vicente, che illuse i tifosi e spinse tutti a pensare di aver acquistato un genio, mentre vennero fuori più le sregolatezze di un ragazzo dai chiari limiti caratteriali.

E’ purtroppo, come spesso capita a determinati personaggi, il destino riserva sempre brutte sorprese, quasi a prendersi gioco delle precedenti esperienze del passato e a beffare in maniera incomprensibile le sorti della propria vita; nel 1995 l’ex calciatore azzurro è stato assassinato a colpi di arma da fuoco dal fidanzato della figlia Manuela, dopo una furibonda lite familiare. Rimane il ricordo di un giocatore che ha disatteso la platea ma che nascondeva dietro il suo carattere difficile di ingestibile la classe pura dei grandi campioni brasiliani. L’ennesimo frutto non sbocciato della prolifica piantagione napoletana che lungo il secolo ha disseminato grandi calciatori e presunti tali.

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