Sono passati solo otto anni, eppure sembra una vita. In otto anni, il Napoli ha scalato una montagna dietro l’altra fino ad arrivare nel gotha del calcio europeo: nel 2005 ripartì dalla C1, poi la B, quindi la A, l’Intertoto, l’Europa League, la Champions League. Ed oggi si appresta a disputare gli Ottavi di Europa League spaventando il Porto, club da dove partì Mourinho.<
L’INIZIO – Otto anni fa, La Società Sportiva Calcio Napoli aveva persino un’atra denominazione. Si chiamava Napoli Soccer. Un espediente della nuova proprietà per evitare una mortificazione. Quel Napoli, ripartito dalla ceneri di un fallimento, aveva appena cominciato a navigare nell’inferno della C. Non proprio a vele spiegate. Tutti gli avversari, infatti, lo aspettavano per disputare la partita della vita. A tutte le tifoserie non sembrava vero potersi misurare con il club che fu di Maradona e magari anche batterlo o comunque bloccarlo. Altro che inferno della C. Il Napoli scoprì di trovarsi in un mondo di squali. Pronti a sbranarlo, deriderlo, invece di sentirsi onorati e gratificati di ospitarlo. E quel febbraio del 2006, si giocò Napoli-Gela al San Paolo. Una gara di terza serie, apparentemente insignificante. Ma la formazione partenopea, passata dalla guida di Ventura a quella di Reja, aveva bisogno di rialzarsi da imprevisti passi falsi. E vi riuscì proprio ospitando il Gela, grazie ai gol di Calaiò e Trotta. Davanti a diciannovemila spettatori. Il famoso zoccolo duro. Gli inguaribili. Quelli che seguivano gli azzurri nei posti più impensati: Lanciano, Martinafranca, Manfredonia, Sora e Gela, appunto.
Quella squadra era composta da calciatori presi grazie ad una deroga al calciomercato estivo e da altri appena prelevati alla sessione di gennaio, tra cui Emanuele Calaiò, strappato al Pescara ed approdato a Napoli grazie anche all’intercessione della moglie Federica, vomerese doc. E poi il Pampa Sosa. Lui era stato tra i primi ad accettare l’invito di Pierpaolo Marino. Aveva un debito di riconoscenza nei confronti del diesse irpino. Fu Sosa a piazzarsi davanti al bar dell’hotel Ariston di Paestum e ad accogliere i nuovi compagni che arrivavano alla spicciolata. «Guardate che questa è stata la squadra di Maradona. Bisogna onorare la maglia e difenderla con il coltello tra i denti», ripeteva a calciatori che ancora non si rendevano conto dove fossero arrivati. Ma la promozione in B avvenne l’anno dopo. Poi, il torneo di B vinto nonostante la presenza di Juventus e Genoa. I primi campionati di A disputati a testa alta e in maniera sorprendente. Un progetto che cresceva di anno in anno. Di ciclo in ciclo. Da un allenatore all’altro: Reja, la breve parentesi con Donadoni, Mazzarri, Benitez. Ed il club che diventava sempre più forte avvalendosi di plusvalenze dalle cessioni (Lavezzi e Cavani su tutti) e di gestioni oculate. Otto anni in cui il Napoli ha avuto la possibilità di farsi le ossa anche in campo europeo, misurandosi con club dai trascorsi prestigiosi (il Benfica, il Liverpool, la Steaua, il Manchester City, il Chelsea, il Bayern, il Borussia, l’Arsenal)
OTTO ANNI DOPO – E’ un Napoli composto da calciatori di fama mondiale, da un allenatore che ha vinto tanto, da una dirigenza che ha accumulato esperienza e know how di calcio internazionale. E dopo aver fatto tremare i vicecampioni d’Europa del Borussia, piegato i campioni di Wenger, mortificato quelli dell’O. Marsiglia in Champions League, l’altra sera con un finale di gara vibrante, il Napoli è riuscito a sbarazzarsi dei pur bravi gallesi dello Swansea e a centrare una qualificazione storica: mai il club di De Laurentiis aveva passato il turno a eliminazione diretta in Europa dopo la fase a gironi. E le ambizioni di tagliare il traguardo finale stavolta sono anche alte.
Fonte: Corriere dello Sport