Torna il Derby del Sud. L’unico, imparagonabile. Torna per la prima volta di domenica in questa stagione, al quarto tentativo. Rovente, assatanato, come le membra di un antico gemellaggio tra due tifoserie immortali e profondamente passionali, ormai da anni tramutato in odio viscerale. Assetato d’adrenalina non ha mai lesinato emozioni, trasferendo sul terreno di gioco la foga (a volte eccessiva) proveniente dagli spalti. Chi ne è uscito sconfitto non è mai stato definito “vinto”.
Torna Napoli-Roma. Torna senza Francesco Totti e Diego Maradona. Determinanti, in qualsiasi veste. Il primo legenda vivente e spirito guida di un intero popolo, doveroso rispetto nei confronti di un fuoriclasse devoto alla sua terra natia (checchè ne dica il cinesino Diamanti). Il secondo è mitologia pura, ossigeno di una città sempre più asfissiata dai cattivi odori, essenza a cui ci si è concessi pienamente ed ora trasuda nostalgia. E’ un amore che va accantonato o almeno umanizzato se si vuole volgere lo sguardo al futuro. Eppure, intanto, se compare tra la folla in una notte qualunque di un febbraio qualunque, è ancora capace di scatenare l’apocalisse, in campo e fuori. Ci lasciamo incantare dalle magie dei numeri 10. Domenica sera, però, sarà il nove ad essere protagonista.
9 marzo 2008. Lo stesso giorno di ben sei anni fa azzurri e giallorossi erano al debutto al San Paolo dopo gli anni di purgatorio trascorsi dal sodalizio campano. Un precedente però nel nuovo millennio c’era già stato: 2-2 dal sapore di Scudetto per i capitolini, una perenne agonia per i partenopei che rotolavano drammaticamente verso un’altra serie B. In quel pomeriggio vagamente primaverile, invece, la Roma si impose con un perentorio 2-0 davanti ad uno stadio gremito (oltre 52mila paganti, record di quell’anno). Quella Roma, seconda al pari di questa, inseguiva l’inafferrabile Inter dei cinque scudetti consecutivi. Il Napoli era solo una pericolosa mina vagante “ammazzagrandi” che appena una settimana prima aveva stritolato proprio la Beneamata nelle fauci di Fuorigrotta. Con l’astuzia e la spensieratezza di chi non aveva nulla da perdere. Oggi gli azzurri sono cresciuti a dismisura, ormai sagomati da una corazza europea. Sicurezza ed esperienza che fanno rima con maturità, sporcata da qualche eccesso di insolenza. A volte un salto alle proprie origini non è solo una mera accozzaglia di rimpianti. Impegno, professionalità ed umiltà consentirono a quel gruppo qualitativamente non eccelso di conseguire risultati assolutamente insperati. Il passato è maestro di vita.
La noche del nueve, dicevamo. Eh sì, permetteteci l’eccezione ispanica. Perchè il nostro “nove”, un po’ come quel 10 tanto acclamato, è figlio d’Argentina (malgrado sia nato a Brest). Gonzalo Higuain torna alla guida dell’attacco del Napoli dopo lo stop di Livorno. Lui che, davanti al suo pigmalione Diego, ha griffato il successo azzurro nella semifinale di Coppa Italia. Uomo squadra oltre che uomo goal, pesa come un macigno l’assenza del suo carisma quando non scende in campo. Lotta su ogni pallone, sbaglia, va giù e si rialza, s’indiavola, non si arrende. Ama mostrarsi per quello che è, anche se in lacrime dopo una sconfitta o stremato da uno sforzo immane. Non si nasconde e carica tutte le responsabilità sulle spalle, malelingue incluse. Per questo, e per tanto altro, di questo nueve proprio non possiamo farne a meno.
Nove, come l’intervallo di tempo che separa il rigore di Mertens dal rocambolesco pareggio del Livorno domenica scorsa. Nove minuti, sommati a tanti altri, che non ci hanno ancora saputo insegnare come difendere un risultato positivo. Immotivato e letale il calo di concentrazione e intensità ogni qualvolta si passa in vantaggio, specialmente contro le piccole. Inutile rielencare le lapidi lasciate per strada. E’ un trend che va ribaltato al più presto se si vogliono ottenere successi, intervenendo soprattutto sull’atteggiamento mentale dei calciatori in campo. Rinculare con la presunzione di poter gestire a proprio piacimento gare e avversari ritenuti inferiori denota una certa discrepanza con il progetto in corso. E con le direttive di Benitez. Quel signorile e pungente “sono deluso da tutti” espresso dal mister nell’immediato post-gara speriamo venga recepito e possa fungere da stimolo.
Si accendano i riflettori, o forse non ce n’è bisogno. In fondo è sempre il Derby del Sole. Da una parte “La Grande Bellezza” della Roma eterna e sublime, tanto chiacchierata in questi giorni, travasata nel calcio e nell’idea di solidità e armonia avanzata dal tecnico Garcia. Dall’altra una bellezza dai lineamenti marcati, tormentata e multiforme, ben ritratta nell’undici di Benitez. Soave e maestoso da sembrare finto; affossato nella sua umana essenza a causa degli errori marchiani dei suoi interpreti. Aprite il sipario, lo spettacolo abbia inizio. Dove sarà il trucco? Chi è portatore dell’effimero e chi invece saprà viaggiare sulla cresta dell’onda fino alle idi di maggio? Alla noche del nueve l’ardua sentenza.
Ivan De Vita
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