L’editoriale di Deborah Divertito: “Il fischio di un buon inizio”

Sogno un mondo in cui l’avvenimento di cui vi parlerò tra qualche riga non debba far notizia e non mi faccia venire voglia di scriverci un editoriale. Ma non siamo ancora in un mondo così e allora oggi parlo di sport. Parlo di arbitri. Parlo di donne. E parlo di rispetto per la cultura altrui.

La donna è molto giovane, ha quasi 16 anni, si chiama Chahida ed è figlia di genitori marocchini. Lo sport in questione è il calcio ed, in particolare, la categoria Giovanissimi della regione Lombardia. Chahida non ha la passione del calciatore tatuato, come molte ragazzine della sua età, ma dell’arbitraggio e così ad ottobre scorso ha cominciato un corso che l’ha abilitata a febbraio ad arbitrare la sua prima partita. Abita vicino Cremona e ha arbitrato la sua prima partita qualche settimana fa tra il San Luigi Pizzighettone e lo Stradivari Cremona. A detta di tutti i genitori presenti, l’ha fatto benissimo. La notizia potrebbe essere già questa, visto che i genitori di quelli che possono diventare giovani campioni, non sono mai contenti. Ma la vera notizia è stata la divisa dell’arbitro. Gambe coperte e velo sul capo. Hijab, per la precisione. Chahida, infatti, è di religione musulmana e ha chiesto all’AIA (Associazione Italiana Arbitri) di poter svolgere la sua passione e la sua attività in campo secondo ciò che la sua cultura le impone. Chiaramente, l’AIA ha risposto presente e integrazione, con annessa notizia allettante, fu. O, almeno, lo speriamo. Sappiamo che gli arbitri sono sempre presi un po’ di mira e, se qualcuno ha bazzicato i campi di categorie inferiori o di derby locali, troverà facile pensare che Chahida non avrà vita semplice. E in una società maschilista come la nostra, perché lo è ancora, nonostante domani si venderanno tante mimose ed ipocrisia, Chahida sentirà insulti soprattutto sul suo essere donna in un mondo di uomini. Prima che musulmana in un mondo di cattolici. Intanto, noi vogliamo accogliere la caparbietà, il coraggio e la fierezza di questa giovane donna come esempio per chi verrà dopo.

È vero! Sogno un mondo in cui un avvenimento del genere non debba far notizia  e non mi faccia venire voglia di  scriverci un editoriale. Ma non siamo ancora in un mondo così. E allora, questa non è una storia da raccontare come se fosse l’unica, ma come se fosse la prima di una lunga serie. In bocca al lupo, Chahida!

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