Ottavio Bianchi fa fatica a sentirsi definire un doppio ex. «Alla Roma non sarei mai voluto andare: mi convinse quel galantuomo di Dino Viola ad accettare quella panchina. Non è facile far bene lì, c’è un campanilismo esasperato. Eppure centrai due finali. A Napoli pure non è stato facile, però avevo il vantaggio di aver conosciuto la città da calciatore. E dunque prima di tornarvi fissai delle regole. Che tutti accettarono».
Benitez e Garcia: i due condottieri di Napoli e Roma.
«Uno si affida ai colpi dei singoli, l’altro ha un atteggiamento difensivo che coinvolge gli attaccanti fin dal momento in cui perdono la palla».
Difficile gestire delle squadre così piene di campioni?
«Sì, ma l’impresa davvero difficile è un’altra: gestire un mediocre che si crede un fuoriclasse».
Chi preferisce tra Napoli e Roma?
«Lo spettacolo che offrono Insigne, Mertens, Hamsik e gli altri quando hanno il possesso di palla in pochi in Italia riescono a regalarlo. Il punto è quando la palla ce l’hanno gli altri…».
Già. Come si fa?
«È una questione di mentalità. Benitez deve lavorare per trovare il giusto equilibrio e non leggere le critiche. A me dopo la sconfitta di Tolosa in Coppa Uefa mi avevano già fatto fuori tant’è che dissi ai miei figli di tornare a Bergamo. Poi rimasi e sapete come andò a finire».
Con le grandi il Napoli si trasforma. Perché?
«È un problema che avevo anche io all’inizio: bisogna lavorare sul campo per cambiare assetto tattico. Quando schieravo Careca, Giordano, Carnevale e Maradona insieme non può immaginare gli avversari quanti difensori mettevano in area. Ma il gol lo facevamo lo stesso…».
Cosa pensa di Higuain?
«È bravissimo. Lo era anche al Real ma per gli argentini la Spagna non è mai un luogo semplice dove potersi ambientare».
Napoli invece sembra essere provincia di Buenos Aires?
«È così. Io sono stato allenato da Bruno Pesaola, il mio grande maestro che fu il primo a spiegarmi le similitudini: per esempio lì, come a Napoli, prima delle 22,30 non si va a cena. Per riuscire a cenare con Pesaola facevo dei sacrifici enormi perché io a quell’ora dormivo».
D’altronde lei ha giocato con Sivori e allenato Maradona.
«Ecco, gli argentini a Napoli realizzano un’alchimia unica, speciale. Perché si sentono a casa loro, probabilmente lo sono: il caos di Napoli è il caos della terra da cui arrivano. E la passione della gente è quella in cui sono cresciuti tra i campi del Boca e del River».
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 9 Mar 2014 - 07:53