Sette mesi. Ad agosto scorso, all’Emirates Stadium di Londra, andavano in scena le prime danze del Napoli di Benitez. Da quel giorno la truppa azzurra ha già vissuto emozioni e lacrime, ha toccato le stelle ed è sprofondato negli abissi, almeno per il rumore creato attorno al nuovo giocattolo. Allora era considerata una mina vagante della nuova Champions, ora rientra nella sontuosa casta delle nobili decadute (o almeno “retrocesse”). Sette mesi. Se Rafa avesse dato alla luce una nuova creatura, si sarebbe trattato di un parto prematuro. Eppure, paradossalmente, tutti pretendono compiutezza e perfezione da questo embrione calcistico. Biologicamente improponibile. Non ci sono malformazioni, Deo gratias. Ma solo il contatto con il mondo potrà svilupparlo e migliorarlo. Work in progress.
Alla prima ecografia c’era il Porto di Fonseca, oggi quello di Castro. Il pomeriggio del 4 agosto i partenopei si arresero 3-1, travolti nel secondo tempo dopo aver chiuso la prima frazione in vantaggio. I lusitani promettevano scintille in campionato e Champions. Sono finiti a mendicare centesimi d’Europa, ampiamente fuori dalla lotta scudetto (il Benfica è a +9) ed eliminati dalla massma competizione continentale (solo 5 punti in sei gare). I numeri sono sempre giudici supremi. Ma guai a farsi incantare ed abbassare la guardia. L’undici biancoblu vanta una notevole caratura tecnica e la bolgia del Do Dragao non fa sconti. Il cambio alla guida tecnica, inoltre, non è mai un segno di resa.
Il Napoli di stasera è altresì diverso da quello estivo. Innanzitutto negli uomini. Solo 3/11 di quella formazione saranno in campo alle 19 italiane: Fernandez, Callejon e Mertens. Tre scommesse sulle quali molti storcevano il naso. Vinte. Quella gara fu una sorta di melodramma inscenato da Benitez per sollecitare la società ad una scrematura degli uomini in rosa e a puntellare alcuni reparti carenti (terzino sinistro ed un’altra punta, giusto per fare due esempi). Indicazioni sulle quali, a dire il vero, i diretti interessati hanno fatto orecchie da mercante. E stasera quel Jackson Martinez tanto desiderato sarà nostro avversario. Ma noi, in ogni caso, abbiamo Zapata.
Parlavamo di scommesse. Oltre a quelle citate c’era anche Pepe Reina, acquistato proprio per fare da chioccia allo sfortunato Rafael. Una colonna divenuta nel corso del tempo inamovibile, dato che proprio De Laurentiis sta contattando il Liverpool alla ricerca di un accordo per la sua permanenza alle pendici del Vesuvio. E’ davvero curioso pensare a questo ribaltamento di prospettive: i punti interrogativi di sette mesi fa sono divenuti esclamativi, le certezze immortali (leggi Hamsik e Zuniga) sono cadute invece nel limbo della precarietà. Marechiaro è alla disperata ricerca di sè stesso, noi siamo alla disperata ricerca di una verità sul colombiano. Vagabondi.
Il nuovo corso ha regalato agli azzurri un’altra indole, spregiudicata e accattivante. Guardare l’avversario, chiunque esso sia, dritto negli occhi, senza alcun timore reverenziale. E’ la mentalità di Don Rafè che ha spinto il Napoli del cristallizzato 3-5-2 ben trenta metri in avanti, senza curarsi granchè delle polemiche giunte da ogni dove sul vuoto lasciato alle spalle. Tiki taka e fantasia, anche se a volte ancora petrolio grezzo, sono di innovazione assoluta. Con qualche macchia, magari fisiologica. Quel Porto ci infilò tre volte approfittando di un calo fisico e di concentrazione, nonchè di qualche clamorosa sbavatura tattica e dei singoli. Ecco, questo tallone d’Achille , evidente in fase di preparazione, continuiamo a trascinarlo con noi. E’ qui che la scultura va plasmata. Può mai un autotreno impantanarsi in una pozza d’acqua?
Forse, però, anche il buon Benitez ha fatto qualche passo indietro. Non lo ammetterà mai, è normale. La relazione con il calcio italiano non gli sta scivolando addosso, agendo proprio su quel suo pizzico di spavalderia. Così in particolari situazioni, in Galles come domenica scorsa con la Roma, si è saputo arroccare nella propria trequarti alla ricerca di maggiore equilibrio e del…risultato! Stasera attendere i lusitani e far male nelle ripartenze potrebbe essere una chiave di lettura. Ma il Porto non è lo Swansea e per uscire indenni c’è la necessità di maggiore attenzione e cattiveria. La cattiveria che ancora fatica ad entrare nel sangue azzurro. Il pargolo Napoli potrà maturarla solo sul campo.
Ivan De Vita
Riproduzione riservata