Tra i tanti oriundi che il calcio italiano ha visto nella lunga storia del campionato di calcio, esiste un brasiliano naturalizzato che ancora oggi è ricordato con onore e rispetto, ma anche con simpatia, andando a rivisitare una vita condizionata dalla città di Napoli. Paulo Innocenti, divenuto più semplicemente “Paolo” Innocenti quando il passaporto italiano divenne certezza, è stato il primo sudamericano che la storia calcistica partenopea potesse annoverare, difensore di fascia diligente e corretto, divenne ben presto uno dei pilastri della difesa azzurra, passando anche per la nazionale azzurra, anche se per una sola partita, con la compagine “B”, contro il Lussemburgo. Storia emblematica la sua, da classico emigrante sudamericano mise piede in Italia nel 1915 passando dapprima per Bologna, dove vincerà anche uno scudetto, risultando però un giocatore complementare, non certo di prim’ordine. Il passaggio al Napoli avvenne per uno strano scherzo del destino, poiché la destinazione partenopea gli fu imposta dallo stato italiano per svolgere i doveri di leva, allorché si pensò di farlo tesserare per gli azzurri, fattore che avrebbe sollevato l’interessato dagli obblighi militari.
Fu così che Paolo divenne calciatore del Napoli e ben presto leader indiscusso e, per ovvi motivi di blasone e importanza, primo capitano del neonato club napoletano, con il quale vi resterà fino al 1937, ritirandosi dal calcio giocato ma restando comunque negli ambienti calcistici partenopei, dapprima come dirigente accompagnatore, poi anche allenatore nel ’43 per sostituire un altro mito come Antonio Vojak, la sua immagine di condottiero integerrimo e esperto gli servì sia in campo che fuori per gestire l’immagine di uno dei primi personaggi rappresentanti del Napoli giovane che s’affacciava nel calcio che conta, dove le grandi sorelle Milan, Inter e Juve, assieme col Genoa dei miracoli la facevano da padrone. E’ entrato nella storia anche per un’altro aspetto importante, è stato infatti l’autore della prima rete azzurra, seppur nella sconfitta proprio contro grifoni genoani pionieri del calcio in Italia per 4-1 il 17 Ottobre del 1926, in un’annata non propriamente felice, che vide gli azzurri guadagnare un solo punto in classifica, retrocedendo mestamente e venendo ripescati più per peso politico che per necessità, disputando il campionato successivo con un piglio diverso che invertì la rotta disgraziata di un Napoli che somigliava al “ciuccio” che si stanca sulla salita, tutt’oggi emblema della società napoletana.214 presenze con la maglia azzurra, una vita a quei tempi, 7 gol a suggellare una supremazia storica imponente che lo proclamò uomo simbolo della nuova società cittadina, proiettata a migliorarsi e a racimolare sempre più appassionati sportivi.
Appese le scarpe al chiodo sentì il bisogno di stabilirsi definitivamente nella città del sole, dove si convinse aprire un Bar che ripercorresse le gesta della “Torrefazione azzurra” di via Medina, fulcro del tifo e della passione di centinaia di concittadini riuniti in uno dei locali più in voga in quel momento, affiancato e sostituito negli anni successivi proprio dal “Bar Pippone“, come il soprannome che i burloni napoletani gli affibbiarono a causa del naso pronunciato, caratteristica che non poteva certo passare inosservata in città. Assieme con la moglie emiliana, Paolo si mise dietro al banco a servire caffè e bevande, ricordando i fati di un tempo e commentando le gesta delle nuove promesse azzurre, mantenendo intatta la gratitudine verso un popolo che lo ha adottato e lo ha eretto per un decennio come il leader dei primi anni, il “primo capitano” della storia azzurra, il primo a gonfiare la rete nella storia del Napoli.