Dove lo metti, sta. Henrique non è nato campione. Basta ripercorrere la sua carriera per capirlo. Eppure quel gol, quel primo gol con la maglia del Napoli, lo consacra tra i grandi protagonisti della stagione azzurra. Una rete da posizione defilata, estrema, impossibile. Come Van Basten nella finale di Euro 1988. O come più modestamente Maggio in un non lontano Livorno-Napoli di due stagioni fa. Di reti non ne ha mai segnate tante in carriera: con quella di domenica sono 10 in tutto. L’ultima in Europa quando era al Racing, il 7 maggio del 2011 (Hercules-Racing Santander 2-3), prima del ritorno al Palmeiras.
Ora arriva la Juventus e lui il posto da titolare ce l’ha sicuro: terzino, centrale difensivo o centrocampista. A parte l’esagerazione nei festeggiamenti – ha spiegato che l’esultanza da «coniglio» con Jorginho era in onore di un suo amico napoletano – il brasiliano si merita in pieno il ruolo di uomo copertina. Henrique Adriano Buss è uno dei giocatori più «beniteziani» che c’è: in questo calcio sempre teso al controllo e al possesso, ogni calciatore che arriva al Napoli si deve rendere subito disponibile. E allora Henrique, con Callejon, è il massimo interprete.
Rafa Benitez non perde mai l’occasione per ringraziare «questi giocatori, sempre molto disponibili». D’altronde il tecnico di Madrid è esigente e pragmatico. A parte andare a prendere il posto di Higuain o Reina, il brasiliano dimostra di poter giocare ovunque. Però all’inizio è partito dalla panchina. Nelle prime quattro gare in serie A, ha giocato appena 12 minuti con il Sassuolo. Titolare, invece, in tutte e quattro le gare di Europa League (le due con lo Swansea e le due con il Porto). Ha convinto Benitez e si è rivelato un giocatore per ogni avversario e per molti ruoli. Da Swansea a Catania, Henrique è passato dalla difesa alla mediana per poi piazzarsi terzino destro. Il tutto in massima scioltezza. È una specie preziosa. Un tuttofare, tutto grinta: «Sono qui perché voglio conquistare il mondiale brasiliano». Ha lasciato il Palmeiras, dove era capitano e dove prima della sua partenza c’è stata una sommossa popolare, proprio per questo. Vive a Posillipo, da qualche giorno è arrivato la sua compagna mentre i due figli piccoli, Andrea e Denise, sono rimasti a San Paolo: «Dedico i gol a loro tre, sono i miei più grandi fan». Le prime settimane in Italia gli ha tenuto compagnia il suo procuratore, Marquinhos Malaquias.
In Brasile per tutti è il gemello di Kurt Cobain, l’indimenticabile leader dei Nirvana: la somiglianza, in effetti, notevole. Prima di Benitez, altri due grandi maestri: Vanderlei Luxemburgo e Felipe Scolari. Sì, proprio l’attuale ct del Brasile. Ed è per questo che Henrique sogna la convocazione con la Selecao. Un sogno. «In fondo c’è sempre stato uno del Palmeiras nel Brasile», ripete scherzando. Tuttofare, tutto cuore, il pallone del primo gol in Italia è riuscito – con la complicità di Jorginho – a portarselo a casa. D’altronde il clan dei brasiliani ha fatto subito gruppo: un quartetto di inseparabili, con Uvini e con Rafael prima dell’infortunio. In giro per Napoli in cerca di pizzerie e piatti di pesce. Ha un contratto a prova di scasso. Ma lo «zagueiro» sta dimostrando che lui vale quanto un top player: il Napoli che insegue il secondo posto ha una faccia, quella sempre sorridente del brasiliano che non soffre di saudade. Se la rincorsa alla Champions ha un cuore, è quello del guerriero.
Fonte: Il Mattino