Missing. Disperso. Nel 1998 era uno dei 17enni più inseguiti d’Italia, nel 2002 uno dei giovani centrocampisti più apprezzati d’Inghilterra (73 gare e 6 gol col Chelsea, coppe comprese). Oggi che ha 33 anni Samuele Dalla Bona è un disoccupato eccellente – tra tanti disoccupati – a cui non mancano i soldi, ma le opportunità. Sam ha giocato l’ultima gara 2 anni fa a Mantova, in Seconda divisione, ma il declino è cominciato nel 2007, quand’era al Napoli in A. Quest’intervista è un’assunzione di responsabilità, ma anche una frustata al calcio italiano.
Dalla Bona, che cosa sta facendo adesso?
«Niente. Mesi fa ho incontrato Grella, ex centrocampista australiano di Empoli e Torino, mi ha proposto di andare al Melbourne Heart, ma per problemi personali ho dovuto dire di no».
A 33 anni la sua carriera è già terminata?
«A certi livelli penso di sì. Ho il patentino Uefa B per allenare».
Come ha fatto a uscire così presto dal giro?
«Nella primavera 2011 papà Luigi si è ammalato. I medici gli avevano dato 5 mesi di vita. Ero legato a lui, non sono riuscito a farmene una ragione. Ero all’Atalanta in prestito, ma avevo ancora un anno di contratto con il Napoli. L’ho strappato per una sistemazione più vicina, a Mantova. Poi a ottobre papà è morto, io non c’ero più con la testa, mi è venuta la depressione. E, in pratica, ho smesso di giocare».
Chelsea, Milan, Bologna, Lecce, Samp, la promozione in A col Napoli. Poi 2 stagioni con gli azzurri senza vedere il campo, l’Iraklis, il Verona e l’Atalanta con rare presenze. Di chi è la colpa del declino?
«A Napoli stavo da dio, fino alla promozione in A, ma con Reja il rapporto non è decollato. Non mi ha considerato, senza un perché. All’Atalanta mentalmente non c’ero più e fisicamente ho iniziato a non essere all’altezza».
E’ stato un errore lasciare l’Inghilterra?
«Se potessi tornare indietro, resterei lì per sempre. Da noi il calcio è uno schifo. Soprattutto quello che c’è attorno. Le pressioni, la mentalità. Io non sono allineato alla “cultura italiana” e ho pagato anche per questo».
In che senso?
«Mi è capitato di andare in ritiro a metà settimana per Napoli-Genoa e Atalanta-Portogruaro. Se perdi una partita, scattano le contestazioni, le punizioni. E io mi sono sempre ribellato. Sono cresciuto in un Paese nel quale per Chelsea-Manchester United il ritiro cominciava 4 ore prima della partita. Terry non si è mai fatto mancare nulla, anche negli eccessi, eppure è stato capitano della nazionale e del Chelsea. In Italia pensano di avere a che fare con dei bambini. Mourinho è un grande, aveva capito tutto».
Un po’ tutte le società hanno un codice etico.
«Inutile, viene applicato in base alla convenienza. Anche quello della Nazionale. Con quelli bravi si chiude un occhio, con gli altri si usa il pugno di ferro. I cosiddetti “bad boy”, infatti, la maglia azzurra non l’hanno persa e qualcuno sarà anche al Mondiale».
Società troppo buone?
«C’è troppa ipocrisia: se fai tardi la sera o rilasci interviste non autorizzate ti multano. Se vendi le partite, ti perdonano subito».
Si riferisce al calcioscommesse?
«Leggo che Andrea Masiello, uno che ha confessato di aver preso soldi per perdere, durante la squalifica ha incassato lo stipendio minimo che un operaio oggi si sogna e che a gennaio tornerà a giocare. Marco Rossi, altro reo confesso, l’ha preso il Perugia. Altri squalificati giocano da tempo e la giustizia sportiva fa sconti a tutti. Intanto, ci sono decine di giocatori che non hanno mai taroccato una partita senza lavoro. Io ho guadagnato bene, ma c’è gente che fatica ad arrivare a fine mese. Farina, che ha denunciato, ha dovuto smettere e per lavorare è andato in Inghilterra. Quindi uno si chiede: perché essere onesti se a far carriera sono sempre i più furbi?».
Molti ex del Bari dicono di aver subito pressioni, anche dalla malavita.
«Io ho giocato al Sud, a Lecce e Napoli, ma nessuno mi ha mai costretto a fare nulla di illegale. Il mio amico Donati ha giocato in quel Bari, ma è onesto come me, infatti non è stato coinvolto. Io posso avere sbagliato delle annate, ma non ho mai preso soldi per perdere e nessuno mi ha proposto di farlo. Forse sapevano che avrebbero ricevuto un vaff…».
Lei però era in campo in Lecce-Parma 3-3 finita in Calciopoli ed è stato compagno di Doni all’Atalanta.
«Io rispondo dei miei comportamenti. Lecce-Parma l’ho giocata fino in fondo e ho fatto anche gol. All’Atalanta ero l’ultima ruota del carro, non giocavo mai. Posso avere dei sospetti su qualcuno, ma non ho le prove. E, di certo, non tocca a me trovarle».
Poi ci sono partite in cui «meglio due feriti di un morto», come dice Buffon.
«Mentalità tutta italiana. Con il Chelsea andai a giocare in casa del Manchester City già retrocesso, c’era lo stadio pieno e festante e il City ci fece sudare. Un’altra volta Robbie Fowler del Liverpool simulò un fallo da rigore: venne fischiato e insultato dai suoi stessi tifosi. Non so se in dieci anni l’Inghilterra sia cambiata, ma se è come la ricordo io uno come Masiello là non troverebbe più una squadra. Da noi, invece, chi ha sbagliato ha una seconda possibilità mentre quelli che non hanno mai sbagliato e sono senza lavoro passano da coglioni. E poi ci lamentiamo se all’estero ci prendono a schiaffi…».
FONTE Gazzetta dello Sport