Un brutto pomeriggio ieri. Sarà stata la pioggia, lo stress ma ero più nervosa del solito. “Calma Ale, mancano pochi giorni alla finale di Coppa Italia e potrebbe essere nuovamente uno dei giorni più belli della tua vita”. Eh si, inutile negarlo: il 20 maggio 2012 lo ricordo ancora come una data memorabile, alla stregua delle mie due lauree, del mio diciottesimo compleanno con tanto di sorpresa vip o di tutto ciò che di straordinario la vita offre. Il 20 maggio resta quel 20 maggio e presa da un forte momento di distrazione che si è trasformato in un’abbondante mezz’ora, ho iniziato a rivedere tutti i video di quella finale di Coppa ancora capace di commuovermi quasi alle lacrime. Mentre guardavo quei video, riascoltavo i cori ed il tifo, mi riproiettavo all’Olimpico, con tutte le speranze ed i sogni del caso, rivivendo una giornata memorabile.
Fu tutto una strana emozione quell’anno, a partire proprio dalla possibilità di presenziare allo stadio. Dopo infinite battaglie, riuscii a partire per Roma, destinazione Distinti Nord Est. Era una giornata piovosa, così come questa settimana. Parcheggiamo l’auto nel secondo parcheggio disponibile e prendiamo la navetta destinazione stadio. La prima impresa. Ovviamente erano affollatissime ma nonostante l’emozione e l’ansia di raggiungere quanto prima il nostro settore, eravamo in netto anticipo quindi senza fretta. Entriamo ed era già una piccola porzione di campo: cori, entusiasmo alle stelle. Mi sembrava di essere tornata bambina, era tutto bello, nuovo, entusiasmante. Ma ci aspettava la Juventus dei record e l’ansia per un match difficile che saliva sempre di più (stessa sensazione che ho proprio adesso solo nel riscrivere quelle emozioni…).
Arriviamo all’Olimpico, alle 18 già gremito. Mi guardo intorno e fisso il tabellone luminoso: meno tre ore. Tre interminabili ore! Ricordo che…non feci assolutamente nulla. Cantavo, guardavo, fotografavo, ascoltavo, vivevo…ma vivevo sul serio. Sul led passavano le immagini del dvd della Juventus in edicola accompagnati ogni volta da una bordata di fischi assordante, così come alla duplice lettura delle formazioni bianconere. Arriva poi il momento di quella azzurra. Ricordo che ebbi la costanza di fare una foto ad ognuno degli undici giocatori che compariva sullo schermone dell’Olimpico, cosa che per noi già è nuova visto che a Napoli siamo già felici se sul led appare solo il nome ed il timer. A centrocampo poi arriva Arisa per cantare l’inno: altra bordata di fischi. “Noi siamo partenopei”, ancor di più quell’anno, quando ci schernivano cantando “O’ surdat nnammurat” ad ogni nostra sconfitta in trasferta. Un dolore atroce durato mesi, che sarà ripagato poi a fine partita.
Inizia la partita e l’ansia aumenta. Guardavo il cronometro ogni minuto…1′, 2′, 3’…finalmente il gol del Napoli, fino al raddoppio ed all’apoteosi totale. Una partita perfetta, un’emozione indescrivibile. Lacrime di gioia, fiumi di lacrime, fino all’interminabile giro di campo azzurro, al sorriso di capitan Cannavaro che alza sotto il cielo di Roma la Coppa, all’espressione soddisfatta ma malinconica di Lavezzi, all’entusiasmo di Hamsik e De Sanctis, ai tifosi azzurri che finalmente cantano di diritto la loro canzone, questa volta inorgogliti da una Coppa che mancava da tanti, troppi anni. Anche il ritorno a Napoli fu splendido: una gioia senza fine che resta ben impressa nel cuore, negli occhi e nella mente e che nulla potrà cancellare.
Mancano quattro giorni alla possibilità di rivivere quelle splendide emozioni. La paura per una finale c’è sempre: 90′ decreteranno vincitori e vinti ma il rischio fa parte della vita e del calcio. Chi non rischia non vive, dicono in molti, ancor di più in uno sport dove spesso non sono ammesse mezze misure, mettendo sul piatto della bilancia un’amara sofferenza o l’apoteosi. “E’ solo una coppetta” mi sono sentita dire da chi in realtà non lo credeva ma ha solo paura di restare deluso. Ma ci ho pensato bene: non è una coppetta, è una possibilità. La possibilità di scrivere ancora la storia, di confermarsi sul tetto d’Italia, di aggiungere un trofeo in bacheca, di dare una senso: alla stagione, al campionato e perché no, anche alla nostra vita.
Alessia Bartiromo
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