Stasera toccherà quota 301. Un numero alto, altissimo, per un calciatore che nel 2007 ha sposato, giovanissimo, la causa azzurra e che nel corso degli anni si è battuto con coraggio e dedizione per essa. Da grande uomo e sportivo si è assunto la piena responsabilità di un momento no, mettendoci la faccia laddove altri avrebbero additato con facilità l’allenatore, il modulo e chissà cos’altro. Un calciatore che oltre alla faccia ha saputo metterci anche il cuore. Tanto cuore. Sempre. Per 300 volte ed è pronto a farlo questa sera se Benitez deciderà di puntare su di lui contro la Fiorentina. Stiamo parlando ovviamente di Marek Hamsik, il capitano azzurro, la cresta più amata e imitata di Napoli, il ragazzino timido diventato uomo vestendo i colori partenopei stagione dopo stagione.
“I capelli? Stavolta non me la taglio la cresta, ma se vinciamo qualcosa mi inventerò”. Queste le parole dello slovacco alla conferenza stampa della vigilia, dinanzi alla Coppa, a Benitez e alla stampa. Ed è proprio questo che si aspettano i tifosi partenopei: un suo lampo, un guizzo, un’invenzione sul campo ancor prima di un’eventuale festa. Una giocata in grado di riportare alla memoria il vero Hamsik, lo stesso che due anni fa fu protagonista nella conquista della coccarda tricolore contro la Juventus e che adesso è chiamato al riscatto, ad una prestazione da vero leader per mettere il punto finale ad una fase tribolante, incostante e tumultuosa della sua avventura azzurra.
Napoli gli chiede quel gol che gli manca dal 2 novembre 2013. Un tormento, per tutti, ma non per lo stesso Hamsik il quale ha dimostrato una spiccata maturità mostrandosi tranquillo e anteponendo sempre, a parole e fatti, il bene della squadra alla vanagloria individuale.
Napoli gli chiede di alzare quella coppa, il suo primo trofeo da capitano, di mandare in delirio un popolo intero che pende dai suoi piedi. Per quello zoccolo duro che non ha mai spesso di credere in lui, nelle sue potenzialità, nella sua fame, nella sua voglia di Napoli. Zoccolo duro che, per fortuna, rappresenta la quasi totalità dei tifosi azzurri consci del suo spessore umano e calcistico; uno che Napoli la sente, la vive, pulsante nelle sue mille sfaccettature. Uno che la maglia la desidera, la rispetta, la suda. E non sarà certo un anno in chiaroscuro a spazzare via tutto questo, a dissipare un legame viscerale, vero, sincero.
Per questo e per altri 1000 motivi quella di stasera può e dev’essere la sua partita. Per esorcizzare i fantasmi di un infortunio che ne ha condizionato la stagione. Per iscrivere il proprio nome nella storia del club azzurro. Per rispedire con veemenza al mittente tutte le voci che lo vogliono svestito dalla maglia azzurra e, con un solo colpo, sradicare dal terreno i picconi che mantengono eretto un ignobile circo mediatico pronto a strumentalizzare un saluto ad un vecchio mentore, a darlo già per partente, così come già nel 2010 lo aveva vestito di rossonero, individuando in lui il fantomatico mister X cercato con bramosia da Galliani. E sappiamo tutti come è andata a finire.
Urge una finale da protagonista, una notte da trascinatore. Una prestazione memorabile per consolidare la calda napoletaneità insita in uno slovacco ma napoletano d’adozione, in modo da chiudere un ciclo ed aprirne un altro ancora più luminoso, più vincente, con Marek Hamsik sempre più uomo copertina di un Napoli che è pronto a insediarsi nel firmamento delle grandi e a restarci con assoluto diritto.
Antonio Allard
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