“Mi sento completo e realizzato. Ritirarsi a 41 anni è impagabile. Sognavo di finire la carriera all’Inter e ce l’ho fatta”. Con queste parole Javier Zanetti ha preso ufficialmente commiato dal calcio giocato. Il capitano dell’Inter formalizza quest’oggi una notizia che gravitava nell’ambiente da diverso tempo. E lo fa in maniera discreta, elegante e da gran signore del calcio quale si è sempre dimostrato. Nemmeno un accenno di polemica, nessuna recriminazione, accusa o dito puntato contro Walter Mazzarri. E da recriminare ce ne sarebbe e anche tanto. Il tecnico ex Napoli nell’ultima partita giocata malamente dalla sua squadra, senza ancora un imprinting definito (a campionato quasi concluso), senza anima e carattere, ha lasciato in panchina per 94 minuti la storica bandiera nerazzurra, privandolo di una scontata quanto meritata standing ovation dinanzi al suo pubblico al completo. E non stiamo parlando di una partita qualsiasi, bensì del Derby contro i rivali di sempre del Milan. Aver negato l’ultima stracittadina ad uno come Zanetti è un atto che non può e non deve passare inosservato. Difatti rappresenta l’ennesima macchia di un anno in forte chiaroscuro per Mazzarri divenuto, ora, bersaglio dalla piazza e non solo per gli scarsi risultati ottenuti sul campo.
Zanetti, dal canto suo, non è andato oltre una più che comprensibile amarezza silente, celata a malapena dal suo sguardo sempre fiero quando al minuto 82 di una partita ampiamente compromessa dal principio, l’allenatore toscano ha preferito mandare in campo Milito piuttosto che concedere al Capitano stesso, ai tifosi interisti e agli appassionati di calcio tutti, la possibilità di ammirare l’argentino alle prese con la sfida che più di ogni altra infiamma il cuore della Milano calcistica.
Polemiche e recriminazioni a parte, quello che si appresta ad appendere gli scarpini al chiodo è una vera pietra miliare di questo sport, il calcio, che tanto amiamo e che tanto ci fa discutere e amareggiare. Zanetti è il volto di tutto ciò che di sano sa ancora regalarci il mondo del pallone. Lealtà, educazione, abnegazione, sacrificio, talento. Un campione sul campo e nella vita.
Zanetti onora il calcio italiano dal 1995, anno in cui giunse alla corte di Massimo Moratti, neopresidente dell’Inter. L’argentino fu il primo acquisto della seconda era Moratti, dopo la presidenza del grande e compianto Angelo. Una sorta di segno del destino, un iniziazione di un binomio che guiderà l’Inter verso le cime più alte della propria storia. Zanetti è stato il capitano più vincente nella storia del club meneghino, il più amato insieme ad un’icona del calibro di Giacinto Facchetti, dal quale ha saputo raccogliere con maestria l’eredità calcistica ed umana, rappresentando per Moratti figlio quello che Facchetti seppe essere per Moratti padre.
Dopo 5 scudetti, 4 Coppa Italia, 4 Supercoppa Italiana, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League e 1 Coppa del Mondo per club, record di presenze con la maglia dell’Inter (856), giocatore straniero con più presenze in Italia (613), quinto giocatore con più presenze di assoluto nella storia del calcio e secondo in attività (1112), giocatore con più presenze in Champions League da capitano (82), Javier Zanetti passa il testimone.
Sembrava così lontano questo momento ma complice anche il grave infortunio subito nell’aprile dello scorso anno al tendine d’Achille, anche una figura imperitura come quella del Capitano interista depone le armi avviandosi verso un meritatissimo riposo del guerriero.
Di Zanetti ci mancherà la correttezza in campo, il fair play, l’incredibile generosità. Mai lo abbiamo visto protagonista di uno screzio, un alterco con avversari o direttori di gara. Mai lo abbiamo visto tirarsi indietro se c’era da soffrire, combattere, sudare, correre. Correre. El Tractor (questo uno dei soprannomi attribuitogli dai tifosi per la sua qualità di macinare chilometri sulla fascia) lo ha sempre fatto. Per due, per tre, per quattro. A venti, a trenta e quaranta anni, sempre con la stessa intensità, il medesimo sorriso che da sempre lo ha caratterizzato. Un uomo capace di raccogliere consensi unanimi, trasversali. Da nord a sud, in Italia come all’estero non esiste un solo tifoso che non apprezzi la sua figura.
Una grandezza d’animo che anche i tifosi del Napoli hanno saputo apprezzare. 26 gennaio 2011, Napoli-Inter, quarti di finale di Coppa Italia, Stadio San Paolo. L’idolo di casa Ezequiel Lavezzi sbagliò il calcio di rigore decisivo regalando il passaggio del turno ai nerazzurri. Javier, ancor prima di unirsi ai suoi per i festeggiamenti, corse dal Pocho in lacrime e, chinandosi verso di lui, prese il suo volto tra le mani e lo consolò. Un immagine che dice tutto e che regala ancora emozioni a distanza di anni.
La Champions alzata il 22 maggio 2010 al cielo di Madrid il punto più alto di una carriera costellata di successi ma anche tante delusioni. In uno dei momenti più bui della storia interista, quando i successi non arrivavano e non arrivavano e nessuno sapeva spiegarsi il perché, Zanetti seppe caricarsi la squadra sulle spalle, non mollando neanche un secondo, non indietreggiando di un solo metro sul prato verde. Ci pensò poi la giustizia sportiva ed ordinaria a rispondere a tanti di quei perché.
Avremo tutti nostalgia di te, Pupi. Ultimo baluardo di un calcio autentico e pregno di valori che, ormai, va via via estinguendosi.
Antonio Allard
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