Roma, 3 maggio 2014. Un giorno che sarebbe dovuto rimanere nella storia del Napoli per la quinta Coppa Italia conquistata con merito, la seconda in tre anni e la prima all’esordio in azzurro di Rafa Benitez, verrà ricordato per ciò che di assurdo è successo in prossimità dell’Olimpico. Alle 18 circa, un tifoso del Napoli, Ciro Esposito, è stato vittima del folle ed ingiustificato odio di un ex ultras della Roma che ha sparato colpendo il giovane, che versa ancora in condizioni gravissime. Ciro è lo specchio di tutti i presenti all’Olimpico, un amante del Napoli e di Napoli, reo soltanto di essere passato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E’ stato l’inizio, o forse l’apice di un pomeriggio di pura follia, causa di un’organizzazione dell’evento completamente errata e che vedeva le prime enormi falle già dalla mattinata. Io a Roma c’ero e sono passata a Tor di Quinto solo cinque minuti prima di Ciro. Ed è giusto raccontarvi tutto ciò che non ha funzionato.
Per arrivare a Roma con mezzi propri e raggiungere l’Olimpico c’erano due metodi distinti: il primo, parcheggiare nell’area di Saxa Rubra adibita ai tifosi azzurri e prendere poi la Navetta organizzata da Questura e Lega per lo stadio oppure parcheggiare nei pressi dell’impianto di gioco in zona Nord, quella per i tifosi partenopei e fare un lungo tragitto a piedi da soli. Pensando di essere più tutelati, io ed i miei amici decidiamo di utilizzare il primo metodo, arrivando in netto anticipo a Saxa Rubra, verso le 16. Nessuno controlla il biglietto, nessuno si accerta che il nostro gruppo fosse effettivamente formato da tifosi partenopei. Ad altri succede ma lo zelo delle forze dell’ordine è ahimè, random. Ecco che avviene il primo scempio: dalle 16, aspettiamo nel piazzale ben due ore la partenza delle navette, accalcati e schiacciati in preda ad un caldo torrido, con bambini, famiglie ed anziani al centro di una fila disumana. Arrivare in anticipo è stata pratica totalmente inutile ma per fortuna, abbiamo evitato di parcheggiare a Tor di Quinto. Per fortuna siamo abituati allo stress pre partita e proseguiamo la nostra odissea.
Arriviamo all’Olimpico ed ai primi prefiltraggi controllano borse, sacche e cappotti. Nella mia tracolla solo panini e viveri, oggetto anche di scherno di dubbia simpatia da parte di un Carabiniere: “Qua hai bombe a mano e petardi, vero? Vai, vai…” Ovviamente no, ma sarebbe comunque il caso di perquisire tutti, grazie. Nei pressi dello stadio non ci sono molti controlli, forse perché convogliati dove successo il grave fatto, che ancora non era arrivato al nostro orecchio. Al momento dell’ingresso, il secondo campanello d’allarme della mancata organizzazione: decine di persone entrano senza biglietto, passando in più nei tornelli, davanti agli occhi degli inermi e giovanissimi steward. Su loro tornerò più tardi. Ciò che è successo dalle 19 alle 22 è cosa nota a tutti. Anzi, precisamente dalle 20 alle 21.45, in un susseguirsi di notizie false, sbagliate, incentivate dalla mancanza di informazioni certe dovute ai telefoni spesso isolati.
La paura aumenta, anche in questo caso la situazione è stata gestita più che male. Sarebbe bastato un comunicato ufficiale sulle condizioni di Ciro in diffusione, lasciando stare la spettacolarizzazione di ciò che stava accadendo, rassicurando i 30.000 presenti partenopei, confusi da ciò che vedevano, ciò che sentivano e ciò che immaginavano accadesse dopo, fuori. La partita finalmente inizia ma lo spirito con la quale la si osserva è completamente diverso a quello che tutti immaginavano di avere. In campo però è uno spettacolo, un bellissimo spettacolo, così come la doppietta in avvio match di Lorenzo. Poi arriva la rete di Vargas e le tantissime disattenzioni degli azzurri, con i tifosi viola che ripetono i soliti beceri cori offensivi nei confronti dei napoletani, creando disordini e confusione anche in Tribuna. Il clima è surreale: non si canta, non si è sereni. C’è solo il Napoli a dare un pizzico di gioia ad una giornata strana, dalle tantissime emozioni contrastanti.
La Fiorentina acquista fiducia e va vicinissima alla rete del pari con Ilicic. Ma la squadra di Benitez resiste, è come Ciro, non molla. Al 78′ si complica ancora la vita: rosso per Inler, bisogna stringere i denti. A risolvere la situazione ci pensa Dries Mertens fissando il risultato sul 3-1 per i partenopei, regalando al Napoli la quinta Coppa Italia per la sua storia. Invasione di campo, altro duplice scempio. Gli steward assistono alla scena ma non fanno niente, forse perché impauriti da ciò che è successo nel pre partita con il lancio di fumogeni e petardi al loro indirizzo. D’altra parte, come non potrebbe essere così: si tratta di giovanotti in giacca e cravatta, alcuni così rotondetti da non riuscire neanche a camminare a passo svelto, ragazze, persone comuni che per venti o trenta euro, non hanno interesse a rischiare la propria incolumità. E chi ci sono a fare? Non è dato saperlo. E’ il momento della premiazione e sono tanti applausi per Higuain e compagni che non vengono celebrati come dovrebbero. E’ tutto sotto tono, i pensieri di tutti vanno solo al ragazzo, uno di noi, che sta combattendo ancora per tenersi ben stretta la sua vita, la stessa che hanno provato a strappargli via brutalmente e senza ragione.
C’è da tornare a casa, con il cuore metà ricco di gioia ed ancora per gran parte pieno di amarezza e spavento. Le navette per raggiungere nuovamente Saxa Rubra sono tante ma vuote ed isolate, molto meno scortate rispetto all’andata. Ci guardiamo alle spalle, restiamo vigili e con gli occhi aperti: guardia altissima. Alle 4 del mattino possiamo andare a dormire: abbiamo portato a casa la Coppa ma ancor più importante, la pelle. A ben cinque giorni da quel balordo sabato, ciò che rimane è un enorme senso di impotenza ed ingiustizia, per una città, una tifoseria ed un popolo costantemente sotto accusa, vittima e non carnefice, che invece di ottenere solidarietà per una tragedia sicuramente evitabile, ha ricevuto solo ingiurie, ponendo sotto i riflettori non ciò che era davvero assurdo, una sparatoria prima di un evento sportivo in centro città, ma tutti gli eventi collaterali accaduti, tra magliette discutibili, colloqui riportati a metà e tante verità celate e manipolate a proprio piacimento.
La verità è che la Fiorentina non era la Juventus è vero, ma Roma resta Roma, una città da sempre ostile per un rapporto tra le tifoserie da anni non certo amichevole. La verità è che, per lavarsene le mani, il Questore ha assicurato la minima sicurezza senza pensare a niente e nessuno, compreso l’incolumità di tutti i presenti, dei bambini, delle famiglie, dei passanti. La verità è che l’Italia non è pronta per certe cose, vige sempre la solita giustizia ad personam, la furia di fare informazione senza riflettere sulle conseguenze, snaturando situazioni che con il calcio devono avere poco a che fare. Avrei voluto parlare della splendida partita dell’Olimpico, di una vittoria che dà lustro al presente e speranza per il futuro, della prima Coppa di Benitez, Callejon, Higuain, Mertens, Albiol e Reina al Napoli, delle ennesime bellissime emozioni in azzurro. Ed invece ciò che resta e che anticipa tutto il resto, è una profonda ferita ed un ragazzo, un bravissimo ed innocente ragazzo, in terapia intensiva. Questo non è calcio, questo non deve essere il calcio. Forza Ciro, non mollare.
Alessia Bartiromo
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Articolo modificato 8 Mag 2014 - 18:51